Dalla fiducia in se stessi alla fiducia nel prossimo

imagesOggigiorno è sempre più difficile dare fiducia, o meglio, come in una simpatica vignetta umoristica di Lynus e Snoopy, proporzionalmente aumenta la fiducia negli animali e diminuisce quella nell’uomo, che comunque discende dalla scimmia.

Cosa si nasconde dietro questa paura? Perché è così difficile fidarsi e affidarsi all’altro?

La fiducia è un atteggiamento, verso altri o verso se stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità.

Non tutti sono in grado di concedere la fiducia allo stesso modo. Perché?

Un famoso detto afferma che la vita “è un po’ come la si incomincia”. Allo stesso modo vale per la fiducia le cui prime tracce le troviamo già nei primi giorni e mesi di vita. In questo periodo il bambino dipende in tutto e per tutto dai genitori o comunque dalla figura di riferimento non solo per quanto riguarda il soddisfacimento dei bisogni primari ma anche per quelli di accudimento ed emotivi in generale. Se la madre risponderà prontamente al pianto, senza anticiparlo, sarà in grado di essere presente, amorevole e protettiva, il bambino non solo si sentirà protetto ed ascoltato ma avrà una visione di se stesso come oggetto d’amore, degno di essere amato. Sentirà che di quella persona potrà fidarsi e questo sembra essere terreno fertile per le relazioni future. Tale teoria è stata ampiamente descritta da alcuni studiosi, tra i quali Erick Erickson e John Bolwlby, che hanno parlato rispettivamente dello stadio di Fiducia/sfiducia (1° anno di vita) e dei vari stili di attaccamento. Un bambino sicuro, che sente di potersi fidare e affidare all’altro, sarà un bambino consapevole del proprio valore (fiducia in se stessi) che sarà presupposto della relazione con l’altro (fiducia negli altri). Al contrario, un bambino che già nei primi momenti di vita extrauterina sperimenterà una figura di riferimento poco presente, instabile o poco sincronica con i suoi bisogni, tenderà a non fidarsi del tutto o a diffidare molto delle persone che lo circondano. Questo si manifesta soprattutto negli attaccamenti instabili che portano il bambino a sentirsi responsabile non solo dei momenti di presenza ma anche di quelli di assenza del caregiver (figura di riferimento) tale da evitare il contatto per paura del rifiuto. 

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Perché ci fidiamo di alcune persone e non di altre?

 

Diversi studi scientifici hanno osservato una correlazione tra caratteristiche somatiche di una persona e tendenza nel dare o meno fiducia. Altri, invece, hanno sottolineato la presenza di una sorta di proiezione, tale per cui, se conosciamo poco una persona, tenderemo o meno a darle fiducia sulla base di una conoscenza precedente con un’altra persona che, per determinati motivi (fisici o intuitivi), ci ricordano quella attuale. Un esempio classico è quello che accade tra due amiche alle prese con un nuovo conoscente: quante volte ci è capitato di affermare “di quella persona (nuovo conoscente dell’amica) non mi fido perché ricorda il mio ex?”. In questo caso tendiamo ad associare eventi legati alla persona X proiettati sulla persona Y.

Possiamo affermare che generalmente tendiamo a fidarci di persone che condividono le nostre stesse idee, i nostri modi di fare, gli stessi valori, ottengono i risultati che noi speriamo e che cerchiamo (soprattutto in ambito lavorativo).

Possiamo parlare di tanti tipi di fiducia, da se stessi all’altro, dall’amicizia all’amore. In questo articolo, però, vorrei soffermarmi su due tipi di fiducia di cui l’essere umano fa esperienza: la fiducia fantasticata e quella reale.

La fiducia fantasticata dipende da come veniamo trattati dagli altri e dal mondo in generale. Abbiamo fiducia in qualcuno che ci tratta così come sentiamo che dovremmo essere trattati o come crediamo che si debba trattare una persona. Ci fidiamo di chi soddisfa le nostre aspettative, ma se poi questa persona ci invade o ci ferisce, allora perdiamo la fiducia. (Krishnananda e Amana, , 2004)

Questa fiducia è quella che spesso sperimentano le persone, Infatti quando si parla di fiducia nel 95% dei casi si parla di questo: una fiducia rivolta tutta sull’altro verso cui proiettiamo nostri pensieri, aspettative e desideri. Questo errore porta la persona a non prendere in considerazioni differenze e volontà diverse dalla propria che, inevitabilmente, alla prima occasione chiamerà “delusione”. Chi sperimenta questo tipo di fiducia tende a sviluppare una sfiducia globale nei confronti del mondo perché tenderà ad accumulare tutte le delusioni passate e, all’ennessima, tenderà ad estendere a macchia d’olio il sentimento di sofferenza a tutte le relazioni passate e future.

La fiducia reale, invece, è basata sulla profonda esperienza interiore dell’esistenza come qualcosa che ci sostiene e che si prende cura di noi. È basata su un’interiore certezza che le esperienze che incontriamo, siano esse positive o negative, piacevoli o dolorose, siano parte integrante della nostra crescita in quanto esseri umani. È la profonda verità interiore che proprio attraverso quelle esperienze, e non combattendo il dolore che invariabilmente la vita ci porta, possiamo giungere a più alti livelli di maturità. (Krishnananda e Amana, , 2004)

È la fiducia a cui tutti dovremmo auspicare. Avere fiducia reale non equivale a non avere sfiducia o evitare la sofferenza della delusione, bensì vuol dire essere consapevoli dell’altro come persona diversa da noi. Una fiducia che porterà a mettere paletti non solo quando pervadono le fantasie della fiducia fantasticata ma anche quando sentiamo di essere stati “traditi” dal prossimo: in questo caso, piuttosto che sperimentare una sfiducia globale nel prossimo, parleremo di sfiducia in quella determinata situazione e con quella determinata persona, non col il mondo! Si tratta di un passaggio importante e fondamentale che, seppur nella sua difficoltà, porterà il vantaggio di raggiungere una consapevolezza più matura evitando di precludersi nuove esperienze solo perchè una è andata male. In sostanza, con una celebre frase tratta dal libro “Il piccolo principe” è una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto, abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato, rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito. È una follia condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito, non credere in nessun amore solo perché uno di loro è stato infedele, buttate via tutte le possibilità di essere felici solo perché qualcosa non è andato per il verso giusto. Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio. (De Saint- Exupery Antoine, 1949)

 

Allora, cosa fare?

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Prima di tutto,  prendere fiducia in se stessi perché è solo da sè che la fiducia può passare alla relazione col prossimo, dunque affacciarsi a nuove situazioni con atteggiamento diverso, di apertura. Da ciò, deriverà un nuovo modo di relazionarsi non sono agli altri ma anche alle proprie emozioni, dando una nuova lettura agli eventi imparando ad ascoltare quello che viviamo a livello emotivo.

Abbiate fiducia … ma non siate ingenui, per dire cosa? Non possiamo delegare la nostra felicità agli altri, nè tantomeno le nostre responsabilità. La delusione spaventa tutti, è una delle ragioni per cui è difficile fidarsi di qualcuno. Però è importante ricordare che fidarsi di qualcuno non vuol dire essere provveduti o incoscienti, vuol dire imparare a conoscere l’altro per quello che è partendo da quello che siamo noi. Fidarsi dell’altro è una necessità considerando che l’uomo da sempre è considerato un animale sociale, ma siamo noi a decidere se, come, quando e quanta fiducia dare. In merito alla stessa persona, possiamo fidarci per una cosa e non per l’altra: questo è possibile solo conoscendo autenticamente l’altro per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse. 

Dott.ssa Teresa Marrone

NB: Immagini prese dal web

 

Bibliografia

De Saint, E. A. (1949). Il Piccolo Principe. Bompiani: Milano.

Krishnananda (Thomas Trobe), Amana (Gitte Demant Trobe). (2004). Fiducia e Sfiducia. Imparare dalle delusioni della vita. Feltrinelli: Milano.

 

 

 

Donne dei giorni nostri: vittime di un percorso ad ostacoli tra carriera e maternità.

Screenshot-32L’8 marzo di ogni anno si festeggia la Giornata Internazionale della Donna, un’occasione per riconoscere le conquiste femminili sul piano dei diritti, dell’economia e della politica e per riflettere sulle discriminazioni e sulle violenze che, ancora oggi, colpiscono il genere femminile.

Sulla base di quanto appena detto, oggi ho voluto appositamente scrivere questa riflessione che arrovella la mia mente, malgrado sia passato circa un secolo da quando queste battaglie sono state compiute e nonostante tutto continuano ancora tutt’oggi.

E’ impressionante notare come attualmente il genere femminile, ahimè, è colpito dalla crescente tensione causata dalla convivenza tra aspettative sociali, desiderio di procreazione e necessità di carriera. Oggi si chiede alla donna di essere bella, elegante e ben tenuta e di dedicare molto tempo alla cura della persona; ma ciò non le deve impedire di competere intellettualmente con gli uomini e con le altre donne, di far carriera, e anche di innamorarsi romanticamente di un uomo e di rappresentare il tipo ideale di moglie-amante e di madre. manager-knYB-U43420525674162TDE-994x556@Corriere-Web-SezioniIl quadro sociale attuale, dipinge l’immagine di una donna che, pur di realizzarsi lavorativamente nella professione che ama, ha investito prima nella propria formazione con percorsi di studio impegnativi (in termini sia di tempo che di fatica) e ben riusciti, i quali purtroppo hanno generato un ritardo nell’ingresso del mercato del lavoro. E’ una donna che ha investito su se stessa e sui suoi solidi progetti professionali, in virtù di un senso d’identità individuale, indipendente ed ambizioso per cui lavorare non è solo sacrificio ed impegno, ma anche piacere, passione da coltivare, sfida e curiosità.

orologio-biologicoNon bisogna tralasciare la difficile conciliazione tra la voglia e/o necessità di carriera con il desiderio di famiglia e/o procreazione, ovvero tutti questi aspetti socio – lavorativi mettono la donna nella condizione di rimandare il matrimonio e il concepimento di un figlio a data da destinarsi, pur di garantire a quest’ultimo una dignità! Questo continuo rimando però, deve anche trovare una cornice spazio – temporale definita dal ticchettio dell’orologio biologico che condiziona i tempi riproduttivi della donna. Pertanto gli aspetti emotivo – affettivi e relazionali di quest’ultima non rivestono un ruolo di secondaria importanza.

Purtroppo la fotografia delle condizioni socio-lavorative nazionali rappresenta una serie di ostacoli all’occupazione femminile e alla carriera delle donne, che restano in Italia problemi in larga misura irrisolti e temi di dibattito nel terzo Millennio. Le donne italiane sono più brillanti lungo il percorso formativo rispetto agli uomini, ma scontano un forte divario in termini occupazionali, contrattuali e retributivi.  La letteratura e molte ricerche condotte in ambito nazionale ed internazionale evidenziano come le cause delle differenze di genere nel mercato del lavoro siano riconducibili a tre fattori:

  1. lo scarso riconoscimento degli investimenti in istruzione delle donne fin dal loro ingresso nel mercato del lavoro;
  2. problemi ancora irrisolti in merito alla conciliazione tra vita familiare e lavoro, con asimmetrie di genere all’interno delle coppie;
  3. fattori socio culturali che portano a resistenze in merito ai compiti “appropriati e
    socialmente desiderabili” in base all’appartenenza di genere.

Una volta entrate nel mercato del lavoro, e anche quando si è titolari di un contratto a tempo indeterminato e quindi protetto, le difficoltà continuano rispetto alle esigenze di conciliazione tra lavoro e famiglia in assenza di politiche di sostegno, di una insufficiente disponibilità di servizi e di una non equa ripartizione del lavoro di cura con il  partner.

La maternità sembra essere l’ostacolo maggiore per le donne italiane, un figlio viene considerato un “problema” dai datori di lavoro e il divario salariale tra donne e uomini è abissale. Le statistiche dimostrano che spesso, sarebbero i datori di lavoro ad escludere le donne, da occupazioni “maschili” (quelle che lo stereotipo di genere associa agli uomini come più adatti) e da compiti di responsabilità in ragione di quegli stessi pregiudizi. Se guardiamo ai livelli di inquadramento (operai, impiegati, quadri e dirigenti), un dato interessante è quello che riguarda il reclutamento di figure professionali di elevato profilo (quadri o dirigenti): queste sono prevalentemente maschili. Siamo quindi di fronte a una doppia disuguaglianza: da una parte le donne vengono complessivamente assunte in misura inferiore rispetto agli uomini, dall’altra parte i dati ci consegnano un’immagine anche di disuguaglianza in merito ai “reclutamenti eccellenti”, ossia quelli per le posizioni dirigenziali e apicali.

Essere dei professionisti affermati e allo stesso tempo dei buoni genitori non è impossibile e conciliare carriera e impegni familiari non è affatto un’utopia, sottolineando che delle recenti statistiche mettono in luce che molti soggetti, di cui molte donne, sono riusciti a farlo. Basterebbe semplicemente cambiare, nell’epoca 3.0 in cui la tecnologia ci sovrasta, la cultura manageriale attraverso l’implementazione di “strumenti di conciliazione” come lo  smart working, asilo nido aziendale, lavoro part-time e corsi di rientro dalla maternità.

 

images (4)È possibile affermare, dunque, che la lotta in questione deve innanzitutto partire da un importante cambio culturale e di mentalità che promuova, nel tempo, la riformulazione (e non solo) anche dei modelli di business, creando i meccanismi necessari per poter rispettare i diritti delle donne che, oltre a un lavoro e a una carriera, hanno anche il desiderio e il coraggio di diventare mamme.

 

Dott.ssa Consiglia – Liliana Zagaria

Sitografia:

 

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