“Disfunzione Erettile”: che cos’è? Come si manifesta?

“Amati! Sei la persona con cui passerai il resto della tua vita!”
Questo è il leitmotiv che guida tutti coloro che intraprendono un percorso psicosessuologico per risolvere una disfunzione sessuale.

La Disfunzione Erettile (DE) rappresenta una delle disfunzioni sessuali maschili presenti nel DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali), la quale viene definita come marcata difficoltà dell’uomo nell’ottenere e/o mantenere un’adeguata erezione durante l’attività sessuale affinché quest’ultima possa essere considerata soddisfacente sia per lui che per il/la partner. Clinicamente, si presentano diverse tipologie di DE: alcuni uomini manifestano l’incapacità di ottenere l’erezione fin dall’inizio dell’esperienza sessuale; altri ottengono un’adeguata erezione ma perdono la tumescenza (aumento di volume del pene provocato dall’aumento del flusso sanguigno all’interno dei corpi cavernosi che sono responsabili dell’erezione) tentando la penetrazione; altri ancora ottengono un’erezione sufficientemente valida per la penetrazione, ma perdono la tumescenza prima o durante le successive spinte. Per poter effettuare una diagnosi le disfunzioni devono avere una durata minima di 6 mesi ed una frequenza del 75 – 100%, in effetti il DSM 5 distingue la DE in:

  • Permanente o primaria: se il disturbo è presente da quando l’individuo è diventato sessualmente attivo;
  • Acquisita o secondaria: se il disturbo inizia dopo un periodo di funzionamento sessuale relativamente normale;
  • Generalizzata: se il disturbo è limitato a determinati tipi di stimolazione, situazione o partner;
  • Situazionale: se il disturbo si verifica solo con determinati tipi di stimolazione, situazioni o partner.

Inoltre il DSM 5 specifica la gravità del disagio provocato dalla DE in lieve, moderato e grave. Il Ministero della Salute riporta che la DE può presentarsi a tutte l’età, dalla giovinezza alla vecchiaia, per alcuni uomini può essere un problema occasionale per altri un problema frequente.

Quali sono le cause che determinano l’insorgenza della DE?

grafico-cause-disfunzione-erettileL’eziopatogenesi della DE è di tipo multifattoriale, può essere dovuta a fattori organici e/o psicogeni.  Da un punto di vista organico, la DE condivide molti fattori di rischio con le patologie cardiovascolari (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, obesità, fumo di sigarette) ma può avere anche cause neurologiche (lesioni cerebrali e del midollo spinale e/o dei nervi periferici prodotte da traumi della regione lombosacrale e pelvica o da interventi chirurgici a livello di colon, prostata e vescica) e ormonali (deficit di androgeni, aumento della prolattina, alterazioni tiroidee). Inoltre numerosi farmaci possono indurre, direttamente o indirettamente, alterazioni dell’erezione, compresi gli antipertensivi, gli antidepressivi e i sedativi, oltre ovviamente all’alcol e alle droghe, che producono danni neuro-vascolari a medio – lungo termine. Ulteriormente, da un punto di vista psicologico, tra i fattori di rischio rientrano la depressione, i sensi di colpa e di inadeguatezza, le preoccupazioni, lo stress e l’ansia, che concorrono ad inibire la risposta erettile e il desiderio sessuale.

Come si comportano gli uomini che convivono con questo disagio?

ob_2a257a_lansia-e-la-disfunzione-erettileLa maggior parte degli uomini si vergognano e fanno fatica a rivolgersi ad uno specialista, spesso cercano dei rimedi fai da te diffusi in Internet da parte di non addetti ai lavori, che nella maggior parte dei casi si rivelano inefficaci e deludenti. Il vissuto di questi uomini è caratterizzato da un abbassamento del livello di autostima personale e sessuale che alimenta una serie di credenze disfunzionali fortemente stigmatizzanti circa l’impotenza sessuale e la perdita di virilità, fattori che incidono in maniera preponderante sulla qualità della vita e della relazione di coppia.

Chi sono i specialisti della salute cui questi uomini possono rivolgersi per una diagnosi ed un trattamento adeguato?

1a1a1af2-84ff-4d50-90d9-6f98dc81c5caL’équipe professionale migliore per offrire a questi uomini un trattamento efficace per la risoluzione della DE è costituita nell’ordine dai seguenti specialisti: medico di medicina generale, andrologo, urologo, endocrinologo, diabetologo, psicosessuologo. Specificamente, dopo lo screening iniziale, a seconda della prevalenza di fattori organici o psicogeni, il trattamento della DE seguirà strade diverse, ovvero gli specialisti converranno sul fatto che la farmacologia può aiutare ma non risolvere il disagio, poiché aggira temporaneamente il problema ma non ne costituisce la sua risoluzione.

Un corretto approccio diagnostico prevede un’accurata valutazione clinica (medica, sessuale e psicosociale) ed un attento esame obiettivo, cui devono associarsi specifici esami di laboratorio e strumentali.  Con l’anamnesi l’andrologo indagherà la presenza dei fattori di rischio summenzionati, il tipo di sintomatologia e la sua evoluzione nel tempo, nonché il tipo di relazione con il/la partner. L’esame obiettivo sarà generale e andrologico, volto a valutare i caratteri sessuali secondari e a ricercare eventuali segni di patologie concomitanti cardiovascolari, ormonali e neurologiche. Gli esami di laboratorio su sangue e urine possono essere utili per determinare le condizioni generali ed indagare eventuali disfunzioni ormonali, come il calo del testosterone, che interferiscono con la capacità erettile.

L’approccio migliore per la presa in carico del paziente con DE è quello di tipo biopsicosociale integrato in cui gli specialisti che entrano in gioco collaborano in équipe, allo scopo di personalizzare il trattamento più efficace a seconda dell’incidenza dei fattori di rischio che hanno condotto la persona a manifestare tale disagio. Pertanto è necessario integrare ad un approccio medico – farmacologico anche un intervento psicosessuologico mirato volto ad approfondire i fattori cognitivi, emotivi e relazionali che determinano il problema sessuale e orientarne quindi la risoluzione attraverso il counselling sessuologico o la terapia sessuale individuale o di coppia.

Dott.ssa Consiglia – Liliana Zagaria

Bibliografia

A. Graziottin, (2007) Male Sexual Dysfunction: Pathophysiology and Treatment, Informa Healthcare USA, New York,  p. 131-145.

H.S. Kaplan,  (1974) Le Nuove Terapie Sessuali, Bompiani.

S.R. Leiblum & R.C. Rosen, (2004) Principi e Pratica di Terapia Sessuale, CIC, Roma.

 

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ADOLESCENTI E SMARTPHONE: il fenomeno del “sexting”

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Come abbiamo già visto in questo articolo e come è stato riportato dallo studio “Net Children Go Mobile” (Mascheroni e Ólafsson, 2014),  che ha visto coinvolti 3500 ragazzi tra 9 e 16 anni di sette differenti paesi (Italia, Danimarca, Romania, Regno Unito, Belgio, Irlanda e Portogallo), l’età di contatto con il mondo virtuale nel corso degli ultimi anni si sta abbassando sempre di più (Livingstone et al., 2011) ed è possibile vedere come mediamente i ragazzi usino Internet per la prima volta intorno agli 8.5 anni, possiedano un cellulare verso i 9.5 e ricevano lo smartphone a 12 (Mascheroni e Ólafsson, 2014).

Siamo perennemente connessi, intrecciando una rete immensa di relazioni virtuali, annullando le distanze materiali. Tuttavia la prossimità virtuale rende i legami reali più superficiali, più veloci ed al contempo più brevi: con la stessa velocità con cui ci si tiene in contatto, si chiudono i rapporti  con un  semplice click. Si crea così un’illusione dorata nella quale la quantità di contatti che si hanno, sono finalizzati al nutrimento della propria autostima: la condivisione spasmodica di ogni momento della nostra giornata, dei sentimenti, degli eventi di vita, sono una ricerca continua di consensi come se stessimo perennemente in vetrina a vendere la nostra immagine.went-to-the-moon-took-5-photos-went-to-the-3069990

E mentre curiamo le relazioni virtuali, ci isoliamo fisicamente dai contesti sociali in cui siamo immersi.  Il corpo che prima era il nostro mezzo di contatto col mondo ora funge da biglietto da visita, da fotografare e condividere, ed i “like” ricevuti testimoniano il nostro valore alla comunità, ma soprattutto a noi stessi.

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L’associazione psichiatrica americana A.P.A. ha ufficialmente riconosciuto la dipendenza da selfie, ovvero gli autoscatti eseguiti con il telefonino, come una vera e propria mania e disturbo mentale. Gli psichiatri americani l’hanno chiamata “selfies”, ovvero il costante desiderio e pressante mania di farsi autoscatti in ogni luogo o posizione per far vedere al mondo cosa stiamo facendo. La selfie addiction, come anche altre dipendenze comportamentali è spesso centrata sull’immagine corporea, sul perfezionismo e su un’autostima patologicamente bassa.

La possibilità diffusa ed immediata di scattarsi foto  e condividerle ovviamente non esula dal condividere anche ciò che di più intimo c’è nella dimensione umana: la sessualità. Un fenomeno che negli ultimi 10 anni è diventato dilagante tanto da allarmare genitori ed educatori è il Sexting ( dal connubio di Sex e texting) ovvero la pratica di condividere messaggi, immagini o video a contenuto sessuale,  tramite  email, social network e app di messaggistica istantanea. Non è diffusa solo tra gli adolescenti e preadolescenti, ma anche tra giovani e adulti.  Essendo un fenomeno recente, la ricerca sta cominciando ora a definirne i rischi e le normali manifestazioni delle prime esplorazioni amorose e sessuali dei giovanissimi (Pellai, 2015) .

Secondo uno studio americano (Lenhart, 2009) gli scenari di base del sexting riguardano la sperimentazione dell’identità e intimità sessuali degli adolescenti quando non sono sessualmente attivi, può essere la componente di una relazione sessuale tra due partner o il preludio della stessa.

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sul web ci sono moltissimi siti che suggeriscono le app più sicure per praticare il sexting

Da una parte si può scorgere il significato protettivo di questa pratica, spostando sul piano virtuale il coinvolgimento sessuale per il quale in preadolescenza non si è ancora pronti. In questa accezione il sexting, secondo Pellai, potrebbe essere considerato un atto sessuale attraverso cui esplorare alcuni aspetti come curiosità, eccitazione, stimolazione dell’interesse e del desiderio dell’altro, ma in modalità protetta: il corpo nudo può essere condiviso attraverso un autoscatto o la webcam, senza che l’altro possa toccarlo. Il sexting offrirà una sorta di “palestra” in cui misurarsi con l’immagine del corpo sessuato e con l’imbarazzo che suscita l’idea di condividerlo con qualcuno (Pellai,2015). Tuttavia c’è il rischio di sottovalutare il fatto che una comunicazione esplicita e spesso pornografica possa compromettere il percorso evolutivo dell’adolescente (Quattrini, 2015). In giovane età la gestione delle dinamiche affettive può risultare molto complessa ed è facile che se ne perda il controllo. La volubilità dei sentimenti adolescenziali e la facilità con la quale le relazioni amorose iniziano e terminano, rischiano di compromettere il benessere individuale quando l’utilizzo di certe immagini sfugge al controllo di chi le invia e le riceve. Non dobbiamo dimenticare che tutto ciò che viene postato e condiviso nella rete non è più di nostra proprietà, è accessibile a chiunque e come riportato da vari fatti di cronaca può essere causa di derisione, pregiudizio, estorsione, diffusione del materiale presso terzi e conseguenti comportamenti persecutori o abusi sessuali. In questi casi ,  la “bravata” di un giovanissimo può diventare qualcosa di particolarmente pericoloso, perché non solo vi è la mercificazione del corpo e della sessualità, ma si realizza la possibilità di entrare in contatto con adulti estranei interessati a comprare una sessualità immatura (Quattrini, 2015).

I genitori di oggi sono i primi a districarsi con i  nativi digitali, che si confrontano precocemente con il mondo degli adulti e spesso senza avere le giuste risorse interne. Per questo è importante fare presente ai giovani le conseguenze a lungo termine di quelli che per loro sono comportamenti innocui ,mentre si destreggiano nella rete. Le conseguenze di alcuni atteggiamenti che si esplicano nel virtuale , hanno echi nel mondo reale per lungo tempo.

Dott.ssa Sara Longari

Bibliografia:

Lenhart A. (2009), << Teens and sexting: how and why minor teens are sending sexually suggestive nude or nearly nude images via text messaging>>, Pew research center, http://www.pewinternet.org/2009/12/15/teens-and-sexting/.

Pellai A.(2015), Tutto troppo presto. L’educazione sessuale dei nostri figli nell’era di internet. DeAgostini- Milano

Quattrini F. (2015), Parafilie e devianza. Giunti-Firenze

Spaccarotella M. (2016), Slides “la consulenza delle dipendenze comportamentali”; corso di Psicosessuologia IISS Roma

Dalla comunicazione non verbale all’espressione del disagio

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Comunicare rimanda al termine latino “communis”, dove CUM indica lo stare insieme e MUNIS lo svolgimento di un’attività. Il tutto rimanda ad una visione della condivisione e della comunione. La comunicazione ha catturato da sempre  un notevole interesse da parte di numerosi studiosi fino a diventare, dalla seconda metà del Novecento, argomento di discussione di molte discipline come matematica, sociologia, linguistica, psicologia. Un aspetto sul quale si concorda, è che la comunicazione è parte integrante dell’essere umano. E’ un’attività altamente sociale oltre che relazionale perché si ha l’inclusione di una o più persone, condizione fondamentale e indispensabile affinché si attivi la comunicazione. La comunicazione è anche un’attività cognitiva e collegata all’azione, in quanto connessa con il pensiero e i processi mentali superiori, come le conoscenze e le emozioni, resi noti in uno scambio comunicativo, esplicitando ad altri ciò che si pensa.

Si parla di comunicazione come processo di interazione, dove non è possibile stabilire con precisione l’evento che viene prima e quello che viene dopo, e non è nemmeno possibile stabilire l’inizio e la fine, ma ogni messaggio o comportamento è al contempo causa  ed effetto di altri messaggi o comportamenti.

Famosi sono gli assiomi della comunicazione di Watzlawick e collabratori (1967) secondo i quali è impossibile non comunicare, in quanto anche il silenzio, il non comunicare, è al contempo una forma di comunicazione; uno scambio comunicativo non solo trasmette l’informazione ma impone l’assunzione di un comportamento, in quanto l’informazione contenuta in un messaggio assume valori diversi  a seconda del tipo di relazione che si instaura tra gli interlocutori; in uno scambio comunicativo, è importante che ci sia l’alternanza tra trasmissione del messaggio e feedback, in modo tale che non venga mai a mancare il rapporto causa-effetto tra gli interlocutori; gli esseri umani comunicano sia con il linguaggio numerico, o verbale, sia con quello analogico, o non verbale e, infine, si hanno interazioni simmetriche, quando vi è un equilibrio tra i parlanti, come ad esempio persone che si riconoscono sullo stesso piano (amici, colleghi) e interazioni complementari quando gli interlocutori assumono due posizioni diverse, in genere una di dominanza o supremazia.

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Per comunicare, come è stato detto in precedenza, vengono utilizzati entrambi i codici linguistici, verbali e non verbali. Con l’espressione comunicazione non verbale, si fa riferimento a tutti quegli atti comunicativi, che trasmettono un messaggio senza l’utilizzo del linguaggio verbale. E’ capace di esprimere stati d’animo, emozioni, atteggiamenti … in sostanza viene chiamato in causa il linguaggio del corpo: i segnali vocali non verbali, le espressioni facciali, il contatto visivo, il contatto corporeo, la postura, l’orientamento del corpo, i gesti e la distanza tra gli interlocutori.

La gestualità è considerata espressione della personalità: in conseguenza di ciò, essendo il linguaggio corporeo associato ai pensieri, un pensiero negativo porterà alla nascita di emozioni negative che andranno a loro volta ad innescare una reazione fisica che si esprimerà in un comportamento. Immobile o in moto, il corpo rappresenta una vera e propria sorgente di segnali e fonte di comunicazione e imparare a riconoscerli diviene un importante strumento di conoscenza. Il linguaggio del corpo risulta facilmente decifrabile nei bambini, perché assumono movimenti semplici e puliti, non avendo ancora sviluppato le difese adulte. Nonostante questo, però, ci sono determinate parti del corpo che con il passare del tempo si mantengono inalterate e non subiscono l’influenza del controllo: ad esempio quando una persona è felice presenterà sempre la stessa reazione, ovvero la dilatazione delle pupille. L’importanza dello star bene nel proprio corpo e con il proprio corpo è una condizione essenziale per conoscere e conoscersi, fare, agire e  pensare. Il corpo diviene lo strumento ottimale per numerosi linguaggi e codici espressivi il cui scopo è comunicare, basta guardare alla danza, alla pittura e a tutte quelle forme comunicative in cui è richiesto il suo utilizzo nella sua massima forma creativa.

Con la psicomotricità l’accento viene posto sull’importanza che l’azione esercita sul pensiero e viceversa. Dunque, tale disciplina ha come oggetto d’interesse l’unione mente-corpo, considerate nella loro unità e interezza, senza mai considerare solo una delle due componenti. A partire dalla comunicazione non verbale è possibile esprimere diverse forme di disagio e comunicarle appunto attraverso il corpo, un corpo che parla. Come affermava Jean Le Boulch (2008), l’esigenza di esprimersi, “di raccontarsi all’altro”, è una fra le più importanti per l’essere umano. La sua negazione è fonte di malessere, angoscia, nevrosi e può perfino condurre a disturbi più gravi del comportamento. Il soggetto con inibizione psicomotoria, si presenta come “senza corpo, quando il corpo è apparente, in realtà è una caricatura, o si manifesta attraverso comportamenti stereotipati e ripetitivi.” (Simonetta, 2014) Il bambino inibito può ad ogni modo coltivare desideri che fa fatica a comunicare, o possono presentarsi come nascosti, difficilmente portati alla luce e realizzati per paure, timori e ansie che possono derivare da una particolare relazione che si è instaurata tra il bambino e i caregiver. Questo, può presentarsi, ad esempio, come conseguenza di iperprotezione o aspettative inadeguate da parte dei genitori, tali da portare il bambino stesso a costruirsi false immagini di sè o false aspettative. In questo caso, una delle conseguenze è il disturbo di separazione-individuazione che viene ostacolato: il bambino si identifica in pieno nella madre o comunque nella figura di riferimento, e non trova nessun interesse per il mondo esterno, si identifica completamente con l’adulto e con il suo mondo oggettuale, impedendo la formazione di oggetti interni. In conseguenza di questo blocco alla separazione-individuazione, il bambino in seguito presenterà anche difficoltà a disegnare se stesso. Il neuropsichiatra Roberto Carlo Russo (1986; 2000), ha parlato di Sindromi da scarso Sè, che nascono in tutte quelle situazioni dove l’iperprotezione genitoriale ha portato nel bambino l’insorgenza di atteggiamenti di ritiro e sfiducia in se stesso, limitando progressivamente l’autonomia, soprattutto sul piano motorio, l’esplorazione, generando anche dipendenza, eccessiva sensibilità e timore nei confronti del nuovo e non conosciuto. Limitandosi nell’attività e nel gioco, non ha potuto sperimentare nè le frustrazioni nè le gratificazioni che questo comporta, caratterizzanti il normale processo di crescita e confronto con gli altri.

Comunicazione-2-Imc-1140x1140A fronte di ciò, uno degli interventi che sempre più spesso viene suggerito, risulta essere la terapia psicomotoria, quel complesso di tecniche che mira a ricostruire i percorsi carenti, presentati nelle diverse fasi dello sviluppo, e che possono essere fonte di espressione di un disagio. In questo caso, si porrà come obiettivo da parte del bambino la scoperta del piacere del movimento e del mondo circostante, del nuovo e l’affermazione di Sè. Sarà necessario agire di pari passo anche con il supporto genitoriale al fine di favorire l’autonomia mancante, la responsabilità e il controllo delle emozioni.

Dott.ssa Teresa Marrone

Bibliografia

Le Boulch, J. (1995). trad. it. Movimento e sviluppo della persona. (2008). Roma: Edizioni Associazione Musicalificio Grande Blu.

Russo, R.C. (1986). La diagnosi in psicomotricità. Milano: Casa Editrice Ambrosiana (CEA).

Russo, R.C. (2000). Diagnosi e terapia psicomotoria. Milano: Casa Editrice Ambrosiana (CEA). 

Simonetta, E. (2014). Esame del movimento. L’approccio psicomotorio neurofunzionale. Milano: Franco Angeli.

Watzlawick, P., Beavin, J., e Jackson, D.P. (1967). Trad.it. La pragmatica della comunicazione umana. (1971). Milano: Astrolabio Editore.

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Eterogenitorialità e omogenitorialità: una lettura psicologica

Quali somiglianze e quali differenze sono presenti nel contesto socioculturale??

immagine-articolo-genderCon il termine “genitorialità” si fa riferimento alla capacità individuale di espletare il ruolo di genitore, attraverso l’adozione di una serie di comportamenti finalizzati a nutrire, accudire, proteggere, dare affetto e sostegno, educare, promuovere l’autonomia e l’indipendenza della prole (Patrizi, et al., 2010).

Dèttore & Parretta (2013) definiscono il genitore come quell’ individuo che si occupa e si prende cura di ogni aspetto della crescita di un bambino, nutrendolo, proteggendolo e guidandolo attraverso il corso dello sviluppo, indipendentemente dal fatto che si tratti di un genitore biologico (madre o un padre) o di un genitore adottivo (custode affidatario). 

Oggigiorno, viviamo in un contesto socioculturale fortemente eterosessista, permeato da ideologie eteronormative ed omofobe, la cui tendenza è quella di considerare la genitorialità come un costrutto che prende forma all’interno di una famiglia nucleare fondata sull’istituto del matrimonio, basato su un legame di tipo eterosessuale e che l’esercizio della funzione genitoriale risulta adeguata solo all’interno di una riconosciuta e riconoscibile forma familiare.

Fruggeri (2005) dimostra, però,  che esistono modalità di esercizio della funzione genitoriale che ben si differenziano dai contesti convenzionalmente riconosciuti; ovvero non necessariamente la genitorialità debba essere sovrapponibile o consequenziale alle seguenti dimensioni (Taurino, 2012):

  • generatività: la genitorialità può essere adeguatamente espressa anche in assenza della generatività biologica. Il riferimento è al caso delle famiglie adottive, alle situazioni di affidamento familiare, all’affidamento a case famiglia o a comunità educativo- residenziali per minori vittime di maltrattamento e abuso;
  • coniugalità: la funzione genitoriale può essere esercitata anche in assenza della relazione coniugale, come nel caso della monogenitorialità (ragazze madri/ ragazzi padri) o nelle situazioni di vedovanza;
  • matrimonio: l’esercizio della funzione genitoriale prescinde dal vincolo matrimoniale considerato come unico istituto che consente il riconoscimento legale/sociale della relazione coniugale. Il rimando è al caso delle coppie di fatto con figli nati all’interno di tale tipologia coniugale, oppure alle situazioni di separazione/divorzio in cui la rottura dell’asse matrimoniale non determina di per sé l’interruzione della capacità genitoriale;
  • unicità del nucleo familiare: l’esercizio della funzione genitoriale non va necessariamente ancorato a un unico nucleo familiare, dal momento che esistono strutture familiari, quali le famiglie allargate, ricomposte, ricostituite, che si articolano su differenti nuclei intersecati fra loro;
  • differenze di genere e differenze di ruolo coniugale: le funzioni genitoriali possono essere esercitate anche in contesti familiari in cui i ruoli coniugali non sono necessariamente legati alla differenza di genere dei partner, come nel caso delle coppie/famiglie omosessuali.

023756923-162d4afa-f300-489f-894a-7169a619fe78Quanto riportato da questi studiosi trova conferma nel fatto che le coppie omosessuali hanno a lungo lottato e continuano ancora adesso a  scontrarsi  con molteplici aspettative eteronormative che stigmatizzano e discriminano le famiglie omosessuali,  opponendosi fortemente al matrimonio e alla genitorialità, infatti le coppie omosessuali solo recentemente, dopo l’approvazione del Decreto di Legge Cirinnà, sono riuscite ad ottenere un riconoscimento che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e ne disciplinaleconvivenze.

La-coppia-omosessuale-e-l_omogenitorialità-680x365-680x365Dèttore & Parretta (2013), vista la larga e diffusa convinzione per la quale le caratteristiche implicite delle famiglie omosessuali influenzerebbero negativamente la crescita dei figli, hanno illustrato una serie di contributi presenti in letteratura, i quali evidenziano una serie di somiglianze e di differenze tra famiglie eterosessuali e famiglie omosessuali.  images (1)Ciò che emerge da tali studi è che le coppie omosessuali (in particolare lesbiche) sono maggiormente eque sia nella suddivisione dei compiti sia nella contribuzione finanziaria, ed inoltre comunicano in maggior misura ed in maniera più efficace rispetto alle coppie eterosessuali, nelle quali il non detto alimenta una serie di vissuti disfunzionali tra i partner. Pertanto indipendentemente dall’orientamento sessuale, è presente in ogni individuo il desiderio di condividere con il partner l’esperienza della genitorialità per soddisfare pienamente i bisogni sociali ed emotivi dei figli, oltre al desiderio di raggiungere obiettivi personali, curare la relazione di coppia e provvedere al sostentamento economico e materiale della famiglia.

Dèttore & Parretta (2013)  hanno anche affrontato il discorso portato avanti dalla società secondo cui l’atipicità delle strutture e delle dinamiche familiari omosessuali costituirebbe un fattore di rischio per un processo di sviluppo deviante dell’identità di genere nei figli. Ancora una volta in letteratura viene ribadito che non sono presenti dimostrazioni scientifiche che confermano tale ideologia, ossia che la non eterosessualità genitoriale possa impattare negativamente sullo sviluppo psicologico, socioaffettivo e relazionale dei figli di omosessuali. Specificamente gli autori hanno analizzato anche gli esiti di sviluppo e l’adattamento psicologico dei figli dei genitori LGB nel migliore interesse del bambino dedicandosi a numerosi parametri di adattamento, quali: la presenza di psicopatologia; l’andamento dello sviluppo di genere; i livelli di autostima; i disturbi comportamentali; le relazioni interpersonali; l’andamento scolastico; l’abuso di sostanze e la presenza di comportamenti antisociali. Da una serie di studi che hanno preso in considerazione tali indicatori nei figli di genitori omosessuali confrontandoli con gli stessi nei figli di genitori eterosessuali è emerso che i figli di coppie eterosessuali presentano maggiori difficoltà di adattamento psicologico, relazionale o di sviluppo di genere rispetto ai figli di coppie omosessuali.

unioni_civili_2Taurino (2012) insiste sul rimando socioculturale sottolineando che l’orientamento sessuale è una dimensione autonoma, che non interferisce con nessuna delle componenti alla base della funzione genitoriale stessa. Non ci sono presupposti teorico-concettuali, al di là di visioni preconcette, sulla base dei quali è possibile asserire che una persona con orientamento sessuale omosessuale sia un individuo incapace di garantire protezione, affetto, cura e sicurezza. Sulla stessa linea di pensiero non ci sono variabili in grado di chiarire, in modo inequivocabile, che una persona eterosessuale è di default in grado di offrire in modo adeguato la protezione, l’affetto, la cura e la sicurezza del bambino, sulla scorta di caratteristiche e aspetti innati e naturali. downloadI casi di maltrattamento ed abuso sull’infanzia presenti in famiglie nucleari con genitori eterosessuali mettono per esempio in evidenza che l’eterosessualità non è immediatamente collegata a un’adeguata espressione della genitorialità, sottolineando inoltre che la grave disfunzionalità di tali famiglie sia da collegare a complessi fattori di rischio interagenti tra loro e non all’orientamento sessuale dei genitori. Ne consegue che la variabile orientamento sessuale è completamente indipendente rispetto all’esercizio (funzionale o disfunzionale) delle capacità insite nel costrutto di genitorialità (sia eterosessuale, sia omosessuale).

Pertanto, è di fondamentale importanza accedere a un’integrazione di rappresentazioni e costrutti che, superando pregiudizi e preconcetti, siano in grado di spiegare, analizzare e descrivere i processi alla base delle diverse tipologie familiari. Tale integrazione introduce categorie di analisi che consentono la legittimazione di altre configurazioni che coesistendo con la famiglia nucleare, ampliano il ventaglio della variabilità esistente, presentando la pluralità come valore, ricchezza, possibilità, e non come minaccia, disordine, crisi. La famiglia e la genitorialità omosessuale rappresentano, rispettivamente, una delle possibili composizioni del sistema familiare e una delle possibili espressioni della genitorialità, al pari di tutte le altre, inclusa quella basata sulla consequenzialità tra coniugalità, eterosessualità dei partner, matrimonio e generatività.

Bibliografia

Dèttore, D., & Parretta, A. (2013). Crescere nelle famiglie omosessuali. Un approccio psicologico. Roma: Carocci.

Fruggeri, L. (2005). La famiglia nella ricerca e nell’attualità sociale: tematiche emergenti e nuovi modelli d’analisi. In P. Bastianoni, & L. Fruggeri, Processi di sviluppo e relazioni familiari (p. 109 – 126). Milano: Unicopli.

Patrizi, C., Rigante, L., Matteis, D., E., . . . V. (2010). Caratteristiche genitoriali e stili di parenting associati ai disturbi internalizzanti in età evolutiva. Psichiatria e Psicoterapia, 29(2), 63 – 77.

Taurino, A. (2012). Famiglie e genitorialità omosessuali. Costrutti e riflessioni per la disconferma del pregiudizo omofobico. Rivista internazionale di filosofia e psicologia, 3(1), 67-95.

Dott.ssa Consiglia – Liliana Zagaria

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Nuove dipendenze: la Cyber -porn Addiction

photo illustration by Kevin Harnack
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Come abbiamo già visto in questo articolo, oggi siamo a conoscenza di svariate forme di dipendenza patologica che non riguardano più solo le sostanze, ma si può diventare dipendenti anche da un certo tipo di comportamenti (gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da TV, da internet, lo shopping compulsivo, le dipendenze dal sesso e dalle relazioni affettive, le dipendenze dal lavoro e alcune devianze del comportamento come l’eccesso di allenamento sportivo). Tuttavia ad oggi nel DSM 5 (Manuale Diagnostico Statistico dei disturbi mentali) tra le dipendenze senza sostanza è stato inserito solo il GAMBLING ossia il gioco d’azzardo patologico, nonostante questo però la comunità scientifica è concorde nel porre una certa attenzione ad altri comportamenti di abuso che negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede. In questa società tecnologica  in cui circa il 40% della popolazione mondiale ha accesso ad una connessione internet, i comportamenti di abuso sono sempre maggiori, con conseguenze in tutti gli ambiti personali e sociali degli individui: il reale rischio è che le relazioni restino sempre più su un piano virtuale, spersonalizzando le emozioni. La dipendenza da internet comprende aspetti differenti a seconda del tipo di attività svolta in rete: sesso virtuale, relazioni virtuali, gioco online (d’azzardo e non), ed è diffusa non solo tra le nuove generazioni, ma in grande misura anche tra adulti ed anziani. Le dinamiche di dipendenza dalla rete possono presentare fenomeni analoghi alle dipendenze da sostanze, con comparsa di tolleranza, craving e assuefazione.  Il dibattito in corso vuole definire  se  l’IAD ( l’Internet Addiction Disorder) deve essere classificato come una dipendenza comportamentale, un disturbo del controllo degli impulsi o un disturbo ossessivo-compulsivo. Circa un terzo degli utenti Internet navigano in rete come forma di fuga o per cambiare il proprio umore. Gli uomini sono in genere attratti da siti a sfondo sessuale. Le donne sono invece più orientate a passare il tempo a flirtare in chat dedicate (De Angelis, 2000). Il passaggio dalla pornografia “cartacea” a quella “virtuale” in Internet, ha aumentato le possibilità di appagare “desideri sessuali compulsivi”, basti pensare che nel 2017 una delle piattaforme online più frequentate, Pornhub, ha pubblicato i dati degli accessi degli utenti al sito porno stilando che solo l’anno scorso, ha avuto 28,5 miliardi di visitatori totali che hanno fatto 24,7 miliardi di ricerche,  circa 800 al secondo  (l’Italia si è classificata al 9° posto tra i frequentatori del sito).d5nj2hq7f8901

Il 20% di questa enorme fetta di fruitori, erano donne (dati divulgati da Pornhub). Questo ci suggerisce che la pornografia è (da sempre) utilizzata dalle persone,  non va demonizzata, ma educare alla pornografia può essere uno dei modi per identificare una sessualità libera da vincoli sociali ed in linea con l’esperienza del piacere sessuale (Quattrini, 2015).  Lo stereotipo comune definisce il porno come sinonimo di violenza, degrado, sfruttamento, identificandolo come pericoloso e deviante, quindi condanna chi ne fa uso. Anche dal punto di vista femminile, molto spesso il mercato del porno è stato tacciato di istigare alla violenza ed all’ oggettificazione del corpo femminile (questo argomento verrà approfondito in un altro articolo), ciò che è certo è che ad oggi, il porno finalizzato alle donne fa parte di una nicchia molto ristretta, poiché i dati indicano come i maggiori fruitori siano uomini. Ma come tutti i comportamenti che innescano il meccanismo di ricompensa, è l’abuso che può diventare rischiosola dipendenza da pornografia on-line si caratterizza per una ricerca compulsiva di appagamento sessuale tramite la visione di materiale pornografico (immagini o video) e la comunicazione in chat erotiche. Il porno-dipendente web tende a mantenere per molte ore il livello di eccitazione, ricorrendo all’autoerotismo per liberare l’eccessiva tensione. Al momento del calo di questa tensione subentrano disagio e repulsione verso sè stesso e verso gli stimoli pornografici, rendendo quindi ancora più irrefrenabile l’impulso a mantenere più a lungo possibile l’erezione, che diventa  il vero significato del piacere sessuale, più che l’orgasmo in sé.dipendenza-porno-full-242206

La masturbazione del porno-dipendente dura diverse ore della giornata, con conseguenze anche sulla funzionalità sessuale: calo del desiderio sessuale nei confronti del partner, disturbi erettili durante incontri reali, ma anche la possibilità di erezione o eiaculazione solo in presenza di materiale pornografico, oppure penetrazione o orgasmo dolorosi. Nella cyber-porn addiction l’aspetto relazionale è completamente assente, in quanto la persona è sola con lo schermo, con una dimensione sessuale esasperata e che non riflette la realtà.

I segni clinici che caratterizzano la dipendenza dalla pornografia on-line sono:

  • Il tempo trascorso in Internet alla ricerca attiva e ossessiva  di materiale pornografico ed aspettative di eccitazione o gratificazione sessuale legate alle connessioni successive. Il comportamento porta a maggior isolamento, solitudine, perdita dei rapporti e avere come unico interesse la pornografia.
  • Senso di colpa e vergogna per il proprio comportamento che porta a nascondere agli altri la propria fruizione in Internet di materiale pornografico.
  • Masturbazione sempre più compulsiva, prolungata e controllata, per enfatizzare l’emozione della visione pornografica.
  • Conseguenze a livello di coppia, nel rapporto con i figli, e nel rendimento lavorativo

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Come per altre dipendenze, anche questa  sembra manifestarsi più facilmente in individui con bassa autostima, difficoltà sociali, marcata sensitività interpersonale, modalità di pensiero ossessiva e comportamenti compulsivi. Le personalità più vulnerabili sono caratterizzate da tratti ossessivo-compulsivi e/o tendenti al ritiro sociale. Per loro, la IAD rappresenta un comportamento di evitamento tramite il quale non affrontare le proprie problematiche esistenziali (Casha and colleagues, 2012).

Le strategie terapeutiche spesso prevedono un trattamento multimodale che coniuga l’utilizzo di farmaci  a differenti forme di psicoterapia (Young, 2010).

Nel momento in cui si riesce a interrompere il circolo ossessivo della dipendenza, la persona viene incoraggiata a riprendere secondo una propria scala gerarchica, le attività che fino a quel momento erano state trascurate a causa del suo problema.

Dott.ssa Sara Longari

Bibliografia

Casha, H., Raea, C. D., Steela, A. H. & Winklerb, A. (2012). Internet Addiction: A Brief Summary of Research and Practice. Disponibile al sito http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3480687/

De Angelis, T. (2000). Is Internet addiction real? Disponibile al sito http://www.apa.org/monitor/apr00/addiction.aspx

Quattrini F., Parafilie e devianza. Giunti ED. 2015 Firenze

Young, K. S. (1999). Internet Addiction: Symptoms, Evaluation, And Treatment. Disponibile al sito http://www.netaddiction.fusionxhost.com/articles/symptoms.pdf

Sitografia:

https://www.ilpost.it/2017/01/06/pornhub-2016/#steps_3

https://www.istitutopsicoterapie.com/dsm-5-dipendenze-da-non-sostanze-linternet-addiction-disorder/

http://www.siipac.it/dipendenza-da-cyber-pornografia/

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Cosa è il vaginismo?

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Il vaginismo è un disturbo sessuale caratterizzato da una contrazione muscolare riflessa e, quindi, involontaria dei muscoli che circondano la vagina, e da paura e angoscia della penetrazione, associate a variabile fobia del rapporto (A. Graziottin, 2007). Nel DSM 5 il vaginismo, così come la dispareunia, che erano spesso coesistenti e difficili da distinguere, sono stati conglobati nel disturbo da dolore genito-pelvico e della penetrazione. Quando il vaginismo non è così severo da impedire la penetrazione, il rapporto è possibile ma causa dolore, bruciore e un senso di prurito pungente (stringing): si parla, in tal caso, di dispareunia, presente fin dal primo tentativo di rapporto sessuale (approfondimento al seguente link) . Nei casi più gravi, invece, la penetrazione diviene impossibile (A. Graziottin, 2005; A. Graziottin, V. Rovei, 2007). Può presentarsi prevalentemente sia in donne vergini e giovani, ma anche in donne in età avanzata che hanno già avuto esperienze sessuali. Si tratta di un disturbo tutt’altro che raro e soprattutto è curabile senza ricorrere ad alcun intervento di tipo chirurgico. Purtroppo se ne parla ancora poco e molti optano per la “cura fai da te” o per il silenzio, tentando di stabilire un equilibrio sessuale che a lungo andare si rivelerà quasi sicuramente deludente. 

Si distingue il vaginismo in: primario o permanente, quando la disfunzione sessuale è presente da quando la persona inizia ad essere sessualmente attiva, secondario o acquisito, quando compare dopo mesi o anni di rapporti normali, generalizzato, quando la disfunzione è generalizzata e quindi non limitata a particolari attività, situazioni o partners, situazionale, quando la disfunzione è limitata a determinate situazioni o persone.

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Ai fini della diagnosi e della terapia, la gravità del disturbo viene valutata in base alla relazione fra due parametri importanti: l’intensità dello spasmo muscolare e l’intensità della fobia, che può essere lieve, moderata o grave (F. Veglia, 2004). L’attacco di panico associato alla fobia viene scatenato da qualunque tentativo di penetrazione e, talvolta, dal solo pensiero di un rapporto sessuale completo per la fobia associata alla paura nei confronti dell’organo genitale maschile. Il generarsi della situazione fobica comporta un picco di adrenalina che implica la comparsa di sudorazione fredda e profusa, la vasocostrizione periferica (che provoca brividi di freddo), la tachicardia, la tachipnea (accelerazione del respiro) e l’aumento della tensione muscolare generale che va a potenziare, a sua volta, quella locale a carico del muscolo elevatore. Il dolore è un’esperienza soggettiva, determinato non solo da fattori fisici ma anche psichici, e può presentarsi come segnale di un danno che il corpo ha o teme di subire, paura con cui la donna “anticipa” la sola idea della penetrazione oppure una richiesta di aiuto lanciata verso il partner, la famiglia, il personale di assistenza.

Simonelli e Fabrizi (1997) hanno sottolineato come le donne vaginismiche mostrano una conoscenza carente o errata sull’anatomia femminile, distorsioni cognitive circa le dimensioni reali della vagina, percependola come “molto piccola, stretta e spesso impenetrabile”. Dal punto di vista medico, la flessibilità e la distensibilità della vagina sono condizionate dalla tensione e dall’elasticità del muscolo denominato “elevatore dell’ano” o “pubococcigeo”, il quale è soggetto a controllo sia volontario sia involontario. Normalmente ha un suo “tono”, ossia una sua attività basale caratterizzata da piccole contrazioni involontarie: ciò gli consente di svolgere in modo ottimale la sua funzione di supporto dei visceri che si trovano nel piccolo bacino e, in parte, nell’addome. Può essere, però, contratto anche a livello volontario, per esempio quando si vogliono trattenere l’urina o le feci (questa manovra chiude anche l’ingresso vaginale) e, ritmicamente, durante la penetrazione, per consentire l’aumento del piacere del partner. Nelle donne che soffrono di vaginismo, la frequenza e l’intensità delle contrazioni basali involontarie è marcata: il muscolo si contrae eccessivamente e in modo del tutto involontario, “chiude” l’entrata della vagina e determina uno spasmo che da alla donna (e al suo compagno) la sensazione di avere un muro, una parete invalicabile. Tale condizione è sempre associata a un grado più o meno elevato di fobia. (A. Graziottin, 2007)

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La contrazione muscolare e la paura della penetrazione possono dipendere da una varietà di fattori: biologici (contrazione muscolo elevatore, ipertono, ostacoli anatomici alla penetrazione), psichici e neurobiologici (tabù, pregresse violenze, paura di deflorazione, gravidanza e parto), fattori  relazionali e di coppia (i fattori di coppia che concorrono all’insorgenza e al mantenimento del disturbo, spesso concernono una simmetrica e condivisa paura rispetto alla penetrazione: lei ha paura di essere penetrata e lui inconsciamente ha paura di penetrare. Non di rado nei compagni di donne affette da vaginismo vengono riscontrati disturbi del desiderio, dell’erezione e/o di eiaculazione precoce spesso mascherati dal problema della partner, motivo del contatto con lo specialista).

Attestata la varietà di fattori biologici, psicologici e relazionali che lo alimentano, è necessario trattare il vaginismo con competenza sistemica: una visita ginecologica completa, accurata e attenta è il primo passo essenziale nel percorso diagnostico. Mediante la visita ginecologica si possono subito cogliere due sintomi specifici del vaginismo: lo spasmo muscolare e la fobia. Come scritto in precedenza, però, nelle donne vaginismiche non sempre è possibile effettuare la visita ginecologica. Nei casi di lieve e media gravità, a differenza di quanto accade nei casi più gravi, è possibile effettuare l’esplorazione vaginale mediante la quale il ginecologo potrebbe individuare altri segni importanti nella diagnosi di vaginismo. La visita ginecologica serve proprio per escludere l’eventuale presenza di problemi organici che possano arrecare dolore durante la penetrazione e di conseguenza accertare la presenza del vaginismo.

Terminata la visita ginecologica e accertata la presenza del vaginismo, è il ginecologo stesso che effettua l’invio dallo psicologo o psicosessuologo che procede con l’anamnesi,  finalizzata ad indagare alcuni parametri quali ad esempio il tempo di insorgenza del dolore sessuale, la relazione tra sintomo e contesto, il livello di stress emotivo associato al disturbo, il momento di manifestazione del dolore prima, all’inizio, durante, al termine o dopo il rapporto sessuale. Nel trattamento del vaginismo sarebbe auspicabile prendere in considerazione tutti gli aspetti bio-psico-relazionali: non solo il sintomo portato in consultazione ma anche l’ indagine del contesto nel quale il sintomo viene esperito e il significato che la persona vi attribuisce, nonchè gli aspetti relazionali di quest’ultima.

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Considerata la natura multifattoriale del vaginismo, si predilige il ricorso, ai fini del trattamento, ad un approccio di tipo integrato, che attinga da vari approcci teorici tra cui quello psicocorporeo, le conoscenze teoriche e gli strumenti tramite cui affrontare tale patologia. (C. Simonelli, 2002) 

E’ importante superare l’imbarazzo del contatto iniziale con lo specialista perchè è grazie a questo incontro che possono essere affrontati temi remoti legati al vaginismo: lo specialista, infatti, grazie al suo ascolto empatico, consente alla coppia di portare in consulenza e in terapia tutto quel materiale che sarà oggetto di osservazione, dal quale partire per fissare obiettivi e stilare un progetto volto ad assaporare e vivere la vita sessuale libera da paure, un rapporto, dunque, che si trasforma in pura ricerca del piacere.

Dott.ssa Teresa Marrone

BIBLIOGRAFIA

A. Graziottin, V. Rovei, Sexual disorders, in A. F. Owens, M.S. Tepper (EDS), Sexual Health, Praeger, Westport (CT, USA)- London (UK), 2007.

Graziottin, Sexual pain in disorders in adolescents, in A.R. Genazzani (Ed), Proceeding of the XI World Congress of Human Reproduction, CIC Edizioni Internazionali, Roma, 2005.

A. Lamont, Vaginismus, in American Journal of Obstetrics & Gynecology, 1978, 131, pagg. 632-636, citata in A. Graziottin, Il dolore segreto, Milano, Mondadori, 2005.

Simonelli, Diagnosi e trattamento delle disfunzioni sessuali, Milano, Franco Angeli, 2002.

Simonelli, A. Fabrizi, Vaginismo e Dispareunia, in C. Simonelli, Diagnosi e trattamento delle disfunzioni sessuali, Milano, Franco Angeli, 1997.

Veglia, Manuale di Educazione Sessuale, Vol. 1 Teoria e Metodologia, Trento, Erikson, 2004.

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