Il corpo e l’identità nella Disforia di Genere

la disforia di genere è il termine utilizzato per indicare le persone alle quali identità di genere e sesso biologico non coincidono. La sofferenza dovuta a questa dissonanza spinge molte di queste persone ad intraprendere terapie ormonali e/o chirurgiche per modificare un corpo che non rispecchia la loro identità.

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dal film: The Danish Girl

Come abbiamo già visto nell’articolo sull’identità di genere qui , essa costituisce il modo in cui l’individuo esperisce il “ruolo di genere” , cioè tutto ciò che si fa per esprimere agli altri l’appartenenza ad un sesso o ad un altro. Come sappiamo, il ruolo di genere viene dettato soprattutto dall’ambiente, dagli usi e i costumi di una società. Quando il sesso biologico e l’identità di genere coincidono, si viene definiti “cisgender”. Ma spesso accade che alcune persone non si riconoscano nel proprio sesso biologico, che si sentano intimamente appartenenti al sesso opposto e percepiscano quindi il proprio corpo come “sbagliato”. Queste persone si definiscono “transgender”.

 Il vissuto disforico è caratterizzato dalla discrepanza tra ciò che rappresenta il proprio corpo e ciò che sente la psiche, e questa con gli anni va accentuandosi diventando un vero a proprio disagio. Nonostante le prime classificazioni di questa condizione stabiliscano una distinzione tra transessualismo primario (presente quindi dalla tenerissima infanzia) e secondario (con esordio postpuberale), molte persone dichiarano di aver vissuto questa condizione fin dalla prima infanzia. Nei bambini e nelle bambine i sintomi sono molto evidenti:  è frequente

 l’insistenza di appartenere al genere opposto e una forte preferenza  e predilezione per l’abbigliamento,  i ruoli nei giochi di fantasia,i giocattoli e le attività tipicamente  legati/e al genere opposto. In alcuni casi può esserci una forte avversione per la propria anatomia sessuale, fino al disgusto ed al rifiuto e il forte desiderio di possedere le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del genere a cui si vorrebbe appartenere.

Quando sono presenti anche questi ultimi due sintomi è più probabile che la disforia permanga anche dopo l’adolescenza. Con l’arrivo dell’adolescenza l’illusoria speranza che il corpo si adeguerà a ciò che sente la mente svanisce poiché si sviluppano le caratteristiche sessuali secondarie tipiche dello sviluppo puberale: cresce la barba ai ragazzi, la voce cambia, arriva il menarca alle ragazze, cresce il seno, eccetera.

In passato questa condizione veniva confusa con l’omosessualità, ed ancora tuttoggi vi è molta confusione sul tema, ma come abbiamo spiegato, l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono due cose ben diverse. Così come il transessualismo è distinto dal travestitismo (questo aspetto verrà chiarito in un articolo dedicato): il termine travestito viene riferito soprattutto alle persone di sesso biologico maschile che amano vestirsi da donna nell’ intimità o solo in alcuni momenti (in questi casi le connotazioni cliniche sono altre) , che non sentono la necessità di cambiare sesso e non sono a disagio con il proprio sesso biologico.
Al termine “travestito”, troppo carico di connotazioni negative, si preferisce crossdresser (CD).
Il crossdressing indica tutte quelle situazioni in cui, per ragioni anche molto diverse tra loro, si utilizzano indumenti e atteggiamenti dell’altro sesso. Anche le persone transessuali vivono una fase di travestitismo prima della transizione. Agli occhi degli altri, esse sono travestiti quando il contrasto tra corpo e psiche e’ ancora evidente e gli abiti sono gia’ quelli del sesso d’arrivo, ma in realta’ una persona trans si sente travestita quando è costretta a indossare panni del sesso biologico.
C’è poi chi ha fatto del crossdressing un’arte e un’occasione di spettacolo, sono le drag queen,

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via Pinterest

che sono crossdresser non in quanto vestono abiti femminili, ma perchè rendono spettacolare il contrasto tra un fisico che ha ancora caratteristiche maschili e un costume femminile molto appariscente, l’effetto che ne risulta può essere incredibilmente armonico e piacevole o caricaturale. 

 Il termine Disforia di Genere (DIG)  risale al 1971   (ma i casi di persone transessuali trattati medicalmente sono molto precedenti) per indicare le persone con disagi legati all’identità sessuale, al proprio corpo e quindi al desiderio forte di esprimersi tramite gli attributi del sesso opposto, fino ad intervenire per alterare i genitali, quindi il transessualismo non è sinonimo di disforia, anzi, dopo l’intervento di riattribuzione chirurgica una persona non è più considerabile disforica rispetto al genere poiché non prova più tale disagio. Nonostante ciò, la presenza di questa condizione nel manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali non è accettata dai numerosi movimenti ed associazioni di persone transgender e dai famigliari, poiché appunto non ne riconoscono la condizione psicopatologica.

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Lili Elbe, nata uomo, negli anni ’30 affrontò una pionieristica serie di interventi per cambio di sesso

Ma nel DSM V il termine disturbo è stato sostituito con “Disforia” proprio per sottolineare la prevaricante condizione di disagio e sofferenza che vivono queste persone di avere un corpo che non accettano e soprattutto perchè non vengono riconosciuti dalla società per quello che sentono di essere (i pensieri suicidari sono in percentuale impressionante secondo i dati degli studi su giovani DIG).  Ne consegue che una volta che l’incongruenza è affrontata terapeuticamente e risolta (per mezzo di riassegnazione sessuale chirurgica e terapie ormonali) la diagnosi «decade». La fase diagnostica assume un’importanza cruciale nella valutazione dell’idoneità all’intervento chirurgico della persona all’operazione di riattribuzione chirurgica di sesso (RCS)  e/o al trattamento ormonale, procedimenti irreversibili che vanno ponderati per evitare sofferenze enormi alle persone che vi si sottopongono. Ricordiamo che la normativa che permette il cambio anagrafico di genere solo successivamente all’intervento chirurgico di adeguamento sessuale è la legge n° 164 del 1982 (anche se negli ultimi anni stiamo assistendo a sentenze innovative, che hanno concesso il cambiamento anagrafico di genere anche senza l’intervento chirurgico). L’iter lungo e dispendioso in termini economici ed emotivi segue pressappoco le seguenti tappe: la persona interessata fa richiesta al Tribunale il quale incarica una/o psicologa/o  (consulente tecnico d’ufficio) che a seguito di alcuni incontri e valutazioni diagnostiche, stila una relazione con la conferma della diagnosi di Disforia di Genere secondo linee guida del manuale diagnostico di riferimento. In questa fase, anche se non specificato dalla legge, l’iter di natura psicoterapeutica è fondamentale ed è ritenuto essenziale dalle strutture nazionali che hanno approvato e recepito gli Standard italiani sui percorsi di adeguamento dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere e dalle maggiori organizzazioni internazionali. La terapia di supporto nella transizione incoraggia a prendere decisioni appropriate, integrare i cambiamenti corporei indotti dalla terapia ormonale con la propria identità di genere e affrontare i numerosi problemi sociali che la transizione comporta.

Già con l’inizio delle terapie ormonali vi sono cambiamenti sostanziali ed un miglioramento generale del tono dell’umore delle persone che svolgono per almeno un anno un “real life test”, vale a dire una sperimentazione reale nel genere di elezione, una sorta di banco di prova della vita che si farà dopo l’adeguamento fisico dei caratteri sessuali per capire in che modo manterrà il proprio lavoro, si rapporterà con famigliari e amici dopo l’acquisizione legale della nuova identità, alla fine del quale vi sarà un ulteriore verifica da parte del consulente tecnico di ufficio e l’autorizzazione del Tribunale all’operazione chirurgica di adeguamento. Questo tipo di interventi sono complessi e lunghi, riassumendo consistono in:   mammoplastica additiva (cioè l’introduzione delle  protesi) e di vaginoplastica  (asportazione degli organi genitali originari e ricostruzione di una nuova cavità ricavata tra retto e vescica) per la persona che effettua la transizione da maschio a femmina (MtoF) . Altri interventi consistono nella riduzione del pomo d’adamo, eliminazione della barba (ad esempio con tecnologia laser) e asportazione delle ultime due costole per donare una forma più sinuosa al corpo (questi ultimi interventi sono economicamente a carico della paziente). Per la transizione da donna a uomo (FtoM) l’iter chirurgico è più lungo e complicato e le tecniche sono varie. In una prima fase è necessaria una riduzione del volume mammario a cui si aggiunge l’asportazione chirurgica della ghiandola mammaria e della cute eccedente. A questo segue poi l’Istero–annessectomia (con un unico intervento chirurgico si asportano utero e ovaie) e si conclude con la Falloplastica (costruzione di un organo cilindrico simile al pene che assolve funzioni estetiche, urinarie e sessuali).

Naturalmente tutti questi interventi possono essere eseguiti o meno, a seconda della volontà delle singole persone. Dopo questa fase, il tribunale dispone il cambiamento anagrafico del genere.

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Questi interventi complessi e molto invasivi danno maggiormente l’idea di quanto sia forte la motivazione dei pazienti disforici di riappropriarsi della propria identità anche e soprattutto esteriormente, per questo la chirurgia genitale non può essere considerata un intervento puramente estetico, ma procedure medicalmente necessarie con risultati terapeutici per la salute della persona.

Sottolineiamo che spesso anche il linguaggio è importante e può causare disagio e discriminazione: per la scelta del nome, dell’uso del maschile e del femminile, così come per l’orientamento sessuale, si fa riferimento al genere di elezione ( in sostanza, UN transessuale FtoM che ama una donna è di orientamento eterosessuale).

Ad oggi le associazioni di supporto ed accompagnamento alla transizione sul territorio italiano sono molte e sono impegnate nel creare una rete di sostegno non solo emotiva per le famiglie e le persone che fanno questo percorso, ma anche dal punto di vista pratico per tutto l’iter medico-legale che bisogna seguire in Italia. Tra queste segnaliamo  il S.A.I.F.I.P.. Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica. Ospedale FORLANINI di Roma e Beyond Differences onlus , un’associazione no profit che nasce con l’intento di tutelare i diritti civili delle persone transgender.

Il lavoro più grande però lo fa la società: è lo stigma, l’odio transfobico, lo stereotipo binario che causano le più grandi sofferenze a persone che affrontano la transizione. 

Dott.ssa Sara Longari

Bibliografia: 

Dèttore D., Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. McGraw-Hill, Bologna, 2001.

Dèttore D., Il disturbo dell’identità di genere, Diagnosi , eziologia e trattamento .McGraw-Hill, 2005

Stoller R., Sex and Gender: The transsexual experiment International psycho-analytical library Volume 2 di Sex and Gender,1968

sitografia

http://www.dirittierisposte.it/Schede/Persone/Salute/cambiamento_di_sesso_id1161275_art.aspx

http://www.miofiglioinrosa.com/m-mariotto-un-anno-dopo/

http://27esimaora.corriere.it/articolo/transgender-oltre-il-dolore-di-sentirsi-stranieri-nel-proprio-corpo/?refresh_ce-cp

 

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Omosessualità: dall’ importanza del coming – out alla necessità di abbattere l’omofobia

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L’orientamento sessuale riguarda la sfera dell’attrazione sentimentale e sessuale, pertanto tende ad essere concettualizzato in maniera multidimensionale: si parla di eterosessualità quando la persona è sentimentalmente e sessualmente attratta da persone di sesso opposto dal proprio, viceversa si parla di omosessualità quando la persona è sentimentalmente e sessualmente attratta da persone del suo stesso sesso; ulteriormente si parla di bisessualità quando la persona è sentimentalmente e sessualmente attratta da persone di sesso sia opposto sia uguale al proprio, infine si parla di asessualità quando la persona manifesta assenza totale di attrazione sentimentale e sessuale verso persone di qualsiasi sesso e non è sensibile ad alcuno stimolo sessualmente attivante (Dèttore & Lambiase, 2011).

Nella nostra cultura prevalentemente eterosessista, le altre forme di orientamento sessuale vengono socialmente stigmatizzate e caricate di pregiudizi tali da essere la fonte primaria di minority stress cui sono esposte le persone LGBTQ, determinando una situazione in cui la persona appartenente all’ orientamento sessuale non eterosessuale (in particolar modo per l’omosessuale, ma  questo resta valido per tutti coloro che rientrano nella categoria LGBTQ) resta rinchiusa nella clandestinità non soltanto per nascondersi ma per nascondere ciò che la società e spesso la famiglia stessa, rifiuta di vedere.

Lingiardi (2014) afferma che “l’omosessualità, tanto quanto l’eterosessualità, costituisce una variante positiva della sessualità umana”, sottolineando con questa espressione tanto la necessità quanto l’importanza per una persona omosessuale di entrare a pieno diritto a far parte di una comunità all’interno della quale è possibile appropriarsi della propria identità piuttosto che essere continuamente identificati, definiti e descritti. Affinché questa condizione si realizzi, diviene fondamentale per la persona omosessuale fare coming – out, ovvero uscire allo scoperto e manifestare il proprio orientamento sessuale davanti ad altri dopo averlo accolto in sé stessi accettando pienamente la propria omosessualità nella sfera pubblica e in quella privata.

Molti studi dimostrano che l’uscire dalla clandestinità migliora lo stato di salute fisica e mentale diminuendo il rischio di depressione, ansia, sensi di colpa e somatizzazioni dovute al tentativo estremo di tenere tutto sotto controllo, perché nulla trapeli da gesti, parole, comportamenti e reazioni. Gli omosessuali che riescono ad affermare la propria identità sessuale tendono ad essere più soddisfatti di sé stessi, maggiormente propositivi verso gli altri e più propensi a confrontarsi con il mondo circostante (Castañeda, 2014).

In ogni caso il coming-out ha effetti benefici solo se è frutto di libera scelta della persona che, dopo una valutazione realistica dei costi e benefici, decide di manifestare apertamente la propria identità nella speranza di instaurare relazioni autentiche e di sentirsi supportata dal contesto di appartenenza. Risulta chiaro che il processo di outing, ovvero lo svelamento dell’orientamento sessuale da parte di altri, non ha lo stesso beneficio ma costituisce una brusca invasione e violazione dell’intimità e riservatezza della persona.

Infine, la paura maggiore davanti alla possibilità del coming-out è quella di compiere un passo irreversibile e di imboccare una strada senza ritorno che provoca vergogna e senso di inadeguatezza. È il timore di non farcela a reggere l’impatto emotivo del “dopo”, di non possedere le risorse per mantenere la propria integrità dopo aver alterato gli equilibri familiari ed amicali così importanti per una buona percezione di sé. Diventa allora vitale riuscire a comunicare la propria omosessualità mettendone in risalto la positività e la ricchezza così da raggiungere, almeno nell’ambito familiare, quella valorizzazione che il contesto sociale nega (Rigliano, 2001).  In definitiva rimanere “velati” implica il condurre una doppia vita e servirsi di strategie di simulazione, camuffamento, segreti e bugie che danneggiano fortemente il processo identitario; inoltre, si costruirebbero relazioni interpersonali non autentiche dal momento che si nasconde una parte di sé importante e fondamentale inducendo l’altro in errore. Pensare di dover proteggere gli altri dal proprio orientamento è assumersi una responsabilità che non compete alla persona omosessuale ma che va lasciata all’elaborazione di chi è chiamato ad accogliere l’altro nella sua diversità.

L’omofobia è l’avversione immotivata e irrazionale verso le persone omosessuali che può degenerare in comportamenti violenti e discriminatori. Nel 2012, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha promosso una campagna istituzionale di sensibilizzazione contro l’omofobia e le discriminazioni di genere intitolata “Nessuna differenza”, lo spot mostra un paziente all’interno di un’ ambulanza durante il trasporto in ospedale, nella scena compaiono diverse categorie professionali: un portantino, un’anestesista e un chirurgo, mentre lo speaker fuori campo rivolgendosi allo spettatore spiega che nella vita l’orientamento sessuale non può essere importante ai fini della professione che queste persone svolgono ogni giorno. Lo spot lancia infatti un messaggio semplice e chiaro: “Nella vita certe differenze non possono contare. Rifiuta l’omofobia, non essere tu quello diverso”.

L’obiettivo più grande che ci poniamo di raggiungere in qualità di addetti ai lavori è quello di rompere gli stereotipi di genere, i pregiudizi e i falsi miti alimentati dal retaggio socioculturale, promuovendo e migliorando il rapporto con sé stessi e con gli altri in un’ottica di mutuo rispetto e di accettazione dell’altro come diverso da Sé.

 

Bibliografia

Castañeda, M. (2014). Comprendere l’omosessualità. Roma: Armando.

Dèttore, D., & Lambiase, E. (2011). La fluidità sessuale. La varianza dell’orientamento e del comportamento sessuale. Roma: Alpes.

Lingiardi, V., & Nardelli, N. (2014). Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali. Milano: Raffaello Cortina.

Rigliano, P. (2001). Amori senza scandalo : cosa vuol dire essere lesbica e gay. Milano: Feltrinelli.

Dr.ssa Consiglia – Liliana Zagaria

 

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Amore: una delle parole più utilizzate nella storia … e cliccate su internet

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Tutti almeno una volta nella vita fanno esperienza di questo sentimento, considerato un istinto essenziale, al pari dei bisogni primari. L’amore è da sempre decantato da poeti, scrittori, pittori … quanto inchiostro si è consumato su questo tema. Facendo un veloce viaggio nel tempo, è possibile notare come i Greci avevano individuato quattro parole per definire l’amore: 

  • Storgè: Con questo termine, gli antichi Greci erano soliti definire l’amore che si prova per i propri familiari, si tratta di un affetto naturale che nasce in famiglia;
  • Eros: È l‘amore che nasce tra due persone, è anche conosciuto come amore erotico, configurando, quindi, l’attrazione fisica e sessuale che spinge due persone a stare insieme fisicamente, e che può sfociare in vero amore, portando le persone a sentirsi coinvolte sentimentalmente e a progettare un matrimonio, una famiglia, ecc;
  • Philos o Filìa: È il sentimento di affetto che si prova per un amico, o per una persona particolare di cui ci si fida. Può rappresentare anche il sentimento che lega un uomo e una donna, senza però sfociare nei confini dell’amore romantico;
  • Agàpe: Si tratta dell’amore più completo, quello puro. È l’amore perfetto e incondizionato, rappresenta la perfezione trovata in Dio nella creazione, ed è per questo motivo che l’Agàpe non può essere raggiunto dall’essere umano, perchè quest’ultimo, a differenza di Dio, tende a porre limiti all’amore. 

Famosissimo è il Simposio di Platone (Ferrari, 2012) in cui il filosofo greco, riprendendo le parole di Aristofane, offre una metafora conosciuta da tutti, quella dell’altra metà della mela, proprio per descrivere  la continua ricerca dell’altro necessaria per il completamento e quindi per la perfezione di se stessi. Platone narra che in passato, c’erano tre diversi generi umani: l’uomo che aveva origine dal Sole, la donna originata dalla Terra e l’ermafrodita che invece nasceva dalla Luna in quanto aveva entrambi i caratteri femminili e maschili. Formati da quattro braccia e quattro gambe, una testa con due volti, quattro orecchie e due organi genitali diversi, gli ermafroditi si presentavano come la perfezione umana, gli essere perfetti, così potenti tanto da avere la pretesa di sfidare gli Dei dell’Olimpo, fallendo. A seguito di questo episodio, Zeus, furioso, decise di punirli severamente dividendoli in due metà uguali, facendoli diventare esseri imperfetti. Proprio come accade ad una mela divisa in due. Questo ci riporta alla storia attuale e al modo di dire “la ricerca dell’altra metà della mela“, per indicare che l’essere umano è un essere imperfetto, diviso nella sua unità perfetta e mancante, costantemente alla continua ricerca della propria metà perfettamente combaciante. Solo quando questa metà mancante verrà trovata, ogni tristezza verrà placata per fare spazio ad un senso di completamento e felicità.

Questo è quello che veniva descritto in epoca antica. Spostando, invece, lo sguardo in un’epoca più recente, sono stati fatti vari studi che hanno assunto diverse sfumature, ma tutti concordano nell’asserire che l’amore (nelle sue varie forme) è un sentimento fondamentale, senza il quale non si potrebbe vivere e l’esistenza sarebbe nulla. Amare è un bisogno dell’uomo, uno dei più importanti, e tale bisogno nasce in modo inconsapevole, e soprattutto viene usato come arma contro la paura di solitudine dell’uomo.

Erich Pinchas Fromm è stato uno psicoanalista e sociologo tedesco, che in un suo celebre libro dal titolo “L’arte di amare”, 1996,  si è espresso in relazione all’amore osservato sotto diverse prospettive. L’amore non vive in simbiosi dell’altro, non vive dell’altro ma per l’altro, inteso come il donarsi al prossimo attivamente. L’amore è inteso come un’attività che produce e realizza, che agisce in maniera attiva e non è subìta, non è prodotta. Fromm parla a tal proposito dell’amore maturo, inteso come il sentimento che mantiene intatta l’identità, che la accresce e non la demolisce, non porta il soggetto verso l’annullamento di sé. L’amore prima di essere una bella emozione è un’arte che richiede forza e coraggio. Molto spesso si hanno concezioni errate dovute a pensieri tramandati di generazione in generazione. Secondo il senso comune, l’amore è inteso come l’essere amati piuttosto che amare, e ci si impegna più nel farsi amare che nel donare amore. Il dare di cui parla Fromm è inteso come un importante strumento produttivo, anche se spesso, erroneamente, è inteso come sinonimo di cedere, sacrificarsi, lasciare andare qualcosa.  Al dare viene attribuita un’accezione negativa, quando al contrario è la più alta forma di libertà dell’uomo, che porta gioia e senso di vitalità. Con il proprio dare si interviene attivamente su qualcosa.

In relazione all’arte del dare, Fromm descrive quattro virtù fondamentali che rispecchiano la personalità matura. L’amore è in primis premura, volendo indicare con quest’ultima un interesse attivo per la vita, l’evoluzione e la crescita di ciò che amiamo. Si intende l’interesse provato per quello che si fa e per ciò a cui si tiene, se questo manca non c’è amore. Alla premura è associata la responsabilità: da tutti è intesa come qualcosa che appartiene alla sfera del dovere e viene imposta da leggi esterne, ma pochi sanno che invece si tratta di una risposta del tutto volontaria del soggetto, che per sua libera scelta decide di rispondere ai bisogni espressi o meno da un’altra persona. La responsabilità potrebbe incorrere nel rischio di tramutarsi in possesso. Questo avverrebbe se venisse meno la terza componente dell’amore, il rispetto. La parola etimologicamente indica il guardare, quindi osservare e vedere l’altra persona così com’è, senza desiderio di cambiarla. Si ha voglia che quella persona cresca e maturi per ciò che è, lasciando che dia libera espressione ai propri desideri. Sostanzialmente si tratta dell’amore per l’altro, per ciò che è e non per come si desidera che fosse. Infine, e non da ultimo in ordine di importanza, si ritrova la componente della conoscenza, senza la quale non sarebbe possibile il rispetto. È collegata a tutte le altre componenti, e consiste nell’andare oltre, abbattere tutti i muri, gli schemi e i pregiudizi e capire l’altro nella sua profonda essenza. Queste, secondo Fromm, risultano essere le caratteristiche fondamentali di un amore maturo, un amore che non si annulla, che non chiede all’altro l’annientamento di sé e dei propri desideri, un amore che non dipende dall’altro, ma al contrario ha bisogno di un costante nutrimento reciproco.

Curtis (1993)  ha parlato di relazioni amorose mature dominate da bisogno, dare, compagnia e idillio, le quali contribuiscono alla formazione di un ambiente sano che favorisce maturazione e crescita dei partner. Al contrario caratteristiche come potere, possesso, protezione, pietà e perversione creano un ambiente maladattivo all’interno del quale nascerà un amore immaturo (Sussman, 2010). In presenza di queste ultime peculiarità vengono poste le basi  per una forma di amore patologico che porta a simbiosi e sottomissione, in cui il partner più debole vive in funzione dell’altro, ponendo le fondamenta per la costruzione di un rapporto che inevitabilmente darà luogo ad una dipendenza affettiva, conosciuta anche come Love Addiction, che verrà esposta in maniera approfondita in un altro articolo.

 – L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere. L’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé. Allora non è più trascinato, ma trascina.- (Hermann Hesse)

 

Dott.ssa Teresa Marrone

 

Bibliografia

Curtis, J.M. (1993). Elements of pathological love relationships. Psychological Reports, 53, 83-92.

Ferrari, F. (2006). I miti di Platone. Milano: Bur. 

Fromm, E. (1996). L’arte di amare. Milano: Mondadori. 

Sussman, S. (2010). Love Addiction: Definition, Etiology, Treatment. Sexual Addiction & Compulsivity, 17, 31–45, 2010. Journal of Social and Personal Relationships, 5, 473-501.

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Identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale: facciamo chiarezza!

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Cosa ci rende maschi o femmine? E che differenza c’è col sentirsi maschi o femmine?

Ad una prima riflessione potremmo certamente affermare che ciò che definisce un individuo maschio o femmina sia la componente cromosomica (XX o XY) , genitale              (avere il pene o la vagina) e fisiologica (ormoni e funzionamento organico).

Diverso è il discorso dell’identità di genere che riguarda un aspetto più profondo della psiche umana e del contesto culturale di appartenenza ed è relativo al genere che la persona sente come proprio indipendentemente dai genitali (Panzeri, 2013). Come definiscono Money* ed Ehrhardt : l’identità di genere è il senso di se stesso continuo e persistente come maschio o femmina (quindi come mi sento in profondità). Riassumendo con il termine sesso ci si riferisce alla parte biologica ed anatomica, mentre con il termine ‘genere‘ si considerano le categorie maschili e femminili dal punto di vista psicologico, culturale e politico  e l’esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio comportamento.

L’identità di genere può essere maschile, femminile, intersessuale, transessuale o trans-gender (questi termini verranno approfonditi in un articolo dedicato) ed è distinta dall’orientamento sessuale, ossia la meta sessuale (chi ci piace)  verso cui si rivolgono pensieri e sentimenti ed è differente anche dal ruolo di genere (cosa fanno i maschi e le femmine secondo la società), cioè l’insieme di atteggiamenti e comportamenti che si attribuiscono al genere di appartenenza e dipendono anche dalla cultura e dal contesto storico. Molto spesso a causa di pregiudizi, scarsa informazione e soprattutto assente educazione affettiva e sessuale, la maggior parte delle persone tende a confondere e sovrapporre orientamento sessuale ed identità di genere, ma ciò è inesatto: il fatto che un uomo ami un altro uomo o provi attrazione sessuale per esso, non significa che si senta donna, oppure che in una coppia di donne una delle due abbia il ruolo maschile ( questo tipo di stereotipi sono figli di una cultura di genere ancorata al concetto binario di maschile e femminile) e così via per tutte le sfumature dei comportamenti umani che in quanto a identità, al genere ed al ruolo sessuale sono sempre più “Queer”** e lontani dal binarismo eterosessuale/omosessuale. 

L’insieme di questi 4 costrutti (sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale) costituiscono la dimensione dell’identità sessuale ossia la dimensione soggettiva del proprio essere sessuati (Graglia,2009). La fissazione dell’identità e dei ruoli sessuali comincia molto presto durante l’infanzia, già verso i 3 anni vi è la consapevolezza dei comportamenti adeguati al proprio sesso biologico, ma questo ovviamente può essere conseguenza anche della condotta non solo dei genitori, ma dell’influenza della società stessa che impone dei modelli e dei ‘ruoli’ adeguati al genere maschile e femminile. Questo è evidente già partendo dai colori utilizzati alla nascita dei bambini e delle bambine, per arrivare poi all’abbigliamento e ai giochi che sono di accudimento e cura per le bambine e di lotta e manipolazione per i bambini.

Ovviamente non ci sono solo elementi appresi dal contesto, ma risultano importanti anche aspetti legati alla biologia. Ricordiamo che per anni è stato dibattuto e si è cercato di trovare una spiegazione genetica o ambientale alla direzione dell’orientamento sessuale o al consolidamento dell’identità di genere, senza mai arrivare ad una conclusione univoca ed ufficializzata e purtroppo a volte queste ricerche hanno generato ulteriori occasioni di discriminazione e violenza (l’omosessualità viene derubricata come malattia mentale dal manuale diagnostico statistico solo nel 1974).

Oggi la ricerca delle cause è passata in secondo piano, si può certamente concordare con quella fetta di studiosi che hanno concluso che la varianza dell’orientamento sessuale dipende da aspetti biologici ed appresi, ma la ricerca delle “cause”  non è l’argomentazione corretta per poter intraprendere un percorso che sia inclusivo e rispettoso di tutte le persone, indipendentemente dalle scelte sessuali (così come per quelle religiose, politiche e così via…). E’ ormai noto come la presenza di forti stress influenzi il benessere psicologico e fisico e che lo sviluppo del bambino e dell’adolescente dipenda anche dal clima culturale e dall’atteggiamento sociale del suo contesto di vita. La cattiva informazione, il linguaggio discriminatorio che viene utilizzato, il pregiudizio individuale verso le persone sono tuttoggi fenomeni di omotransfobia presenti e vergognosi, che spesso sfociano in veri e propri atti di violenza, bullismo, vessazioni, eccetera. Ad oggi la comunità scientifica, riconosce a pieno titolo l’orientamento sessuale omosessuale e bisessuale, solo una delle possibili espressioni della preferenza sessuale umana.

*Ricordiamo che Money fu tra i primi a introdurre il concetto di gender (genere in inglese) intorno agli anni ’50 per i suoi studi su persone intersessuali per la necessità di distinguere tra identità e sesso biologico. Sottolineiamo quindi che il termine “gender” ha esclusivamente questo utilizzo e che le “teorie gender” di cui si parla molto da militanti ultraconservatori  hanno poco o nulla di scientificamente dimostrato.

**Queer: Lettera Q della sigla LGBTQ ossia un termine ombrello che rappresenta tutte le persone che non sentono (e non vogliono)  appartenere ad una categoria di genere  e sessuale.

Bibliografia:

Dèttore D. – Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. McGraw-Hill , 2001

Dèttore D. e Parretta A. – Crescere nelle famiglie omosessuali. Carocci editore, 2013

Sitografia:

www.pianetaqueer.it

Dr.ssa Sara Longari

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“Dall’idea al progetto: la nascita di Tiresia”

“Un mito è la metafora di un mistero che va oltre la comprensione umana. Si tratta di una storia che ci aiuta a capire, per analogia, alcuni aspetti misteriosi di noi stessi. Secondo questa concezione, un mito non è una falsità, ma un modo di raggiungere una profonda verità”.

(Christopher Vogler)

Gentile lettore/ lettrice,

l’idea di creare questo Blog nasce dalla volontà di tre Psicosessuologhe che alla fine del percorso formativo in Sessuologia clinica hanno deciso di condividere la loro passione per questa disciplina attraverso la divulgazione di tematiche ancora poco dibattute, in quanto ancorate all’ignoranza, a falsi miti, tabù e stereotipi radicati e diffusi nel tessuto socioculturale d’appartenenza.

Lo scopo principale di Tiresia è quello di approfondire argomenti di Psicologia e Sessuologia utilizzando un linguaggio il più possibile semplice in maniera tale da essere comprensibile a chiunque abbia il piacere di leggere queste pagine, trasmettendo una corretta informazione scientifica al fine di contrastare la cattiva informazione e il pregiudizio ed allo stesso tempo sdoganare gli stereotipi psicosessuologici presenti nella nostra cultura, promuovendo e migliorando il rapporto con sé stessi e con gli altri in un’ottica di mutuo rispetto e di accettazione dell’altro come diverso da Sé.

Buona lettura!