Amore: una delle parole più utilizzate nella storia … e cliccate su internet

Lótusz kék

 

Tutti almeno una volta nella vita fanno esperienza di questo sentimento, considerato un istinto essenziale, al pari dei bisogni primari. L’amore è da sempre decantato da poeti, scrittori, pittori … quanto inchiostro si è consumato su questo tema. Facendo un veloce viaggio nel tempo, è possibile notare come i Greci avevano individuato quattro parole per definire l’amore: 

  • Storgè: Con questo termine, gli antichi Greci erano soliti definire l’amore che si prova per i propri familiari, si tratta di un affetto naturale che nasce in famiglia;
  • Eros: È l‘amore che nasce tra due persone, è anche conosciuto come amore erotico, configurando, quindi, l’attrazione fisica e sessuale che spinge due persone a stare insieme fisicamente, e che può sfociare in vero amore, portando le persone a sentirsi coinvolte sentimentalmente e a progettare un matrimonio, una famiglia, ecc;
  • Philos o Filìa: È il sentimento di affetto che si prova per un amico, o per una persona particolare di cui ci si fida. Può rappresentare anche il sentimento che lega un uomo e una donna, senza però sfociare nei confini dell’amore romantico;
  • Agàpe: Si tratta dell’amore più completo, quello puro. È l’amore perfetto e incondizionato, rappresenta la perfezione trovata in Dio nella creazione, ed è per questo motivo che l’Agàpe non può essere raggiunto dall’essere umano, perchè quest’ultimo, a differenza di Dio, tende a porre limiti all’amore. 

Famosissimo è il Simposio di Platone (Ferrari, 2012) in cui il filosofo greco, riprendendo le parole di Aristofane, offre una metafora conosciuta da tutti, quella dell’altra metà della mela, proprio per descrivere  la continua ricerca dell’altro necessaria per il completamento e quindi per la perfezione di se stessi. Platone narra che in passato, c’erano tre diversi generi umani: l’uomo che aveva origine dal Sole, la donna originata dalla Terra e l’ermafrodita che invece nasceva dalla Luna in quanto aveva entrambi i caratteri femminili e maschili. Formati da quattro braccia e quattro gambe, una testa con due volti, quattro orecchie e due organi genitali diversi, gli ermafroditi si presentavano come la perfezione umana, gli essere perfetti, così potenti tanto da avere la pretesa di sfidare gli Dei dell’Olimpo, fallendo. A seguito di questo episodio, Zeus, furioso, decise di punirli severamente dividendoli in due metà uguali, facendoli diventare esseri imperfetti. Proprio come accade ad una mela divisa in due. Questo ci riporta alla storia attuale e al modo di dire “la ricerca dell’altra metà della mela“, per indicare che l’essere umano è un essere imperfetto, diviso nella sua unità perfetta e mancante, costantemente alla continua ricerca della propria metà perfettamente combaciante. Solo quando questa metà mancante verrà trovata, ogni tristezza verrà placata per fare spazio ad un senso di completamento e felicità.

Questo è quello che veniva descritto in epoca antica. Spostando, invece, lo sguardo in un’epoca più recente, sono stati fatti vari studi che hanno assunto diverse sfumature, ma tutti concordano nell’asserire che l’amore (nelle sue varie forme) è un sentimento fondamentale, senza il quale non si potrebbe vivere e l’esistenza sarebbe nulla. Amare è un bisogno dell’uomo, uno dei più importanti, e tale bisogno nasce in modo inconsapevole, e soprattutto viene usato come arma contro la paura di solitudine dell’uomo.

Erich Pinchas Fromm è stato uno psicoanalista e sociologo tedesco, che in un suo celebre libro dal titolo “L’arte di amare”, 1996,  si è espresso in relazione all’amore osservato sotto diverse prospettive. L’amore non vive in simbiosi dell’altro, non vive dell’altro ma per l’altro, inteso come il donarsi al prossimo attivamente. L’amore è inteso come un’attività che produce e realizza, che agisce in maniera attiva e non è subìta, non è prodotta. Fromm parla a tal proposito dell’amore maturo, inteso come il sentimento che mantiene intatta l’identità, che la accresce e non la demolisce, non porta il soggetto verso l’annullamento di sé. L’amore prima di essere una bella emozione è un’arte che richiede forza e coraggio. Molto spesso si hanno concezioni errate dovute a pensieri tramandati di generazione in generazione. Secondo il senso comune, l’amore è inteso come l’essere amati piuttosto che amare, e ci si impegna più nel farsi amare che nel donare amore. Il dare di cui parla Fromm è inteso come un importante strumento produttivo, anche se spesso, erroneamente, è inteso come sinonimo di cedere, sacrificarsi, lasciare andare qualcosa.  Al dare viene attribuita un’accezione negativa, quando al contrario è la più alta forma di libertà dell’uomo, che porta gioia e senso di vitalità. Con il proprio dare si interviene attivamente su qualcosa.

In relazione all’arte del dare, Fromm descrive quattro virtù fondamentali che rispecchiano la personalità matura. L’amore è in primis premura, volendo indicare con quest’ultima un interesse attivo per la vita, l’evoluzione e la crescita di ciò che amiamo. Si intende l’interesse provato per quello che si fa e per ciò a cui si tiene, se questo manca non c’è amore. Alla premura è associata la responsabilità: da tutti è intesa come qualcosa che appartiene alla sfera del dovere e viene imposta da leggi esterne, ma pochi sanno che invece si tratta di una risposta del tutto volontaria del soggetto, che per sua libera scelta decide di rispondere ai bisogni espressi o meno da un’altra persona. La responsabilità potrebbe incorrere nel rischio di tramutarsi in possesso. Questo avverrebbe se venisse meno la terza componente dell’amore, il rispetto. La parola etimologicamente indica il guardare, quindi osservare e vedere l’altra persona così com’è, senza desiderio di cambiarla. Si ha voglia che quella persona cresca e maturi per ciò che è, lasciando che dia libera espressione ai propri desideri. Sostanzialmente si tratta dell’amore per l’altro, per ciò che è e non per come si desidera che fosse. Infine, e non da ultimo in ordine di importanza, si ritrova la componente della conoscenza, senza la quale non sarebbe possibile il rispetto. È collegata a tutte le altre componenti, e consiste nell’andare oltre, abbattere tutti i muri, gli schemi e i pregiudizi e capire l’altro nella sua profonda essenza. Queste, secondo Fromm, risultano essere le caratteristiche fondamentali di un amore maturo, un amore che non si annulla, che non chiede all’altro l’annientamento di sé e dei propri desideri, un amore che non dipende dall’altro, ma al contrario ha bisogno di un costante nutrimento reciproco.

Curtis (1993)  ha parlato di relazioni amorose mature dominate da bisogno, dare, compagnia e idillio, le quali contribuiscono alla formazione di un ambiente sano che favorisce maturazione e crescita dei partner. Al contrario caratteristiche come potere, possesso, protezione, pietà e perversione creano un ambiente maladattivo all’interno del quale nascerà un amore immaturo (Sussman, 2010). In presenza di queste ultime peculiarità vengono poste le basi  per una forma di amore patologico che porta a simbiosi e sottomissione, in cui il partner più debole vive in funzione dell’altro, ponendo le fondamenta per la costruzione di un rapporto che inevitabilmente darà luogo ad una dipendenza affettiva, conosciuta anche come Love Addiction, che verrà esposta in maniera approfondita in un altro articolo.

 – L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere. L’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé. Allora non è più trascinato, ma trascina.- (Hermann Hesse)

 

Dott.ssa Teresa Marrone

 

Bibliografia

Curtis, J.M. (1993). Elements of pathological love relationships. Psychological Reports, 53, 83-92.

Ferrari, F. (2006). I miti di Platone. Milano: Bur. 

Fromm, E. (1996). L’arte di amare. Milano: Mondadori. 

Sussman, S. (2010). Love Addiction: Definition, Etiology, Treatment. Sexual Addiction & Compulsivity, 17, 31–45, 2010. Journal of Social and Personal Relationships, 5, 473-501.

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Identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale: facciamo chiarezza!

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Cosa ci rende maschi o femmine? E che differenza c’è col sentirsi maschi o femmine?

Ad una prima riflessione potremmo certamente affermare che ciò che definisce un individuo maschio o femmina sia la componente cromosomica (XX o XY) , genitale              (avere il pene o la vagina) e fisiologica (ormoni e funzionamento organico).

Diverso è il discorso dell’identità di genere che riguarda un aspetto più profondo della psiche umana e del contesto culturale di appartenenza ed è relativo al genere che la persona sente come proprio indipendentemente dai genitali (Panzeri, 2013). Come definiscono Money* ed Ehrhardt : l’identità di genere è il senso di se stesso continuo e persistente come maschio o femmina (quindi come mi sento in profondità). Riassumendo con il termine sesso ci si riferisce alla parte biologica ed anatomica, mentre con il termine ‘genere‘ si considerano le categorie maschili e femminili dal punto di vista psicologico, culturale e politico  e l’esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio comportamento.

L’identità di genere può essere maschile, femminile, intersessuale, transessuale o trans-gender (questi termini verranno approfonditi in un articolo dedicato) ed è distinta dall’orientamento sessuale, ossia la meta sessuale (chi ci piace)  verso cui si rivolgono pensieri e sentimenti ed è differente anche dal ruolo di genere (cosa fanno i maschi e le femmine secondo la società), cioè l’insieme di atteggiamenti e comportamenti che si attribuiscono al genere di appartenenza e dipendono anche dalla cultura e dal contesto storico. Molto spesso a causa di pregiudizi, scarsa informazione e soprattutto assente educazione affettiva e sessuale, la maggior parte delle persone tende a confondere e sovrapporre orientamento sessuale ed identità di genere, ma ciò è inesatto: il fatto che un uomo ami un altro uomo o provi attrazione sessuale per esso, non significa che si senta donna, oppure che in una coppia di donne una delle due abbia il ruolo maschile ( questo tipo di stereotipi sono figli di una cultura di genere ancorata al concetto binario di maschile e femminile) e così via per tutte le sfumature dei comportamenti umani che in quanto a identità, al genere ed al ruolo sessuale sono sempre più “Queer”** e lontani dal binarismo eterosessuale/omosessuale. 

L’insieme di questi 4 costrutti (sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale) costituiscono la dimensione dell’identità sessuale ossia la dimensione soggettiva del proprio essere sessuati (Graglia,2009). La fissazione dell’identità e dei ruoli sessuali comincia molto presto durante l’infanzia, già verso i 3 anni vi è la consapevolezza dei comportamenti adeguati al proprio sesso biologico, ma questo ovviamente può essere conseguenza anche della condotta non solo dei genitori, ma dell’influenza della società stessa che impone dei modelli e dei ‘ruoli’ adeguati al genere maschile e femminile. Questo è evidente già partendo dai colori utilizzati alla nascita dei bambini e delle bambine, per arrivare poi all’abbigliamento e ai giochi che sono di accudimento e cura per le bambine e di lotta e manipolazione per i bambini.

Ovviamente non ci sono solo elementi appresi dal contesto, ma risultano importanti anche aspetti legati alla biologia. Ricordiamo che per anni è stato dibattuto e si è cercato di trovare una spiegazione genetica o ambientale alla direzione dell’orientamento sessuale o al consolidamento dell’identità di genere, senza mai arrivare ad una conclusione univoca ed ufficializzata e purtroppo a volte queste ricerche hanno generato ulteriori occasioni di discriminazione e violenza (l’omosessualità viene derubricata come malattia mentale dal manuale diagnostico statistico solo nel 1974).

Oggi la ricerca delle cause è passata in secondo piano, si può certamente concordare con quella fetta di studiosi che hanno concluso che la varianza dell’orientamento sessuale dipende da aspetti biologici ed appresi, ma la ricerca delle “cause”  non è l’argomentazione corretta per poter intraprendere un percorso che sia inclusivo e rispettoso di tutte le persone, indipendentemente dalle scelte sessuali (così come per quelle religiose, politiche e così via…). E’ ormai noto come la presenza di forti stress influenzi il benessere psicologico e fisico e che lo sviluppo del bambino e dell’adolescente dipenda anche dal clima culturale e dall’atteggiamento sociale del suo contesto di vita. La cattiva informazione, il linguaggio discriminatorio che viene utilizzato, il pregiudizio individuale verso le persone sono tuttoggi fenomeni di omotransfobia presenti e vergognosi, che spesso sfociano in veri e propri atti di violenza, bullismo, vessazioni, eccetera. Ad oggi la comunità scientifica, riconosce a pieno titolo l’orientamento sessuale omosessuale e bisessuale, solo una delle possibili espressioni della preferenza sessuale umana.

*Ricordiamo che Money fu tra i primi a introdurre il concetto di gender (genere in inglese) intorno agli anni ’50 per i suoi studi su persone intersessuali per la necessità di distinguere tra identità e sesso biologico. Sottolineiamo quindi che il termine “gender” ha esclusivamente questo utilizzo e che le “teorie gender” di cui si parla molto da militanti ultraconservatori  hanno poco o nulla di scientificamente dimostrato.

**Queer: Lettera Q della sigla LGBTQ ossia un termine ombrello che rappresenta tutte le persone che non sentono (e non vogliono)  appartenere ad una categoria di genere  e sessuale.

Bibliografia:

Dèttore D. – Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. McGraw-Hill , 2001

Dèttore D. e Parretta A. – Crescere nelle famiglie omosessuali. Carocci editore, 2013

Sitografia:

www.pianetaqueer.it

Dr.ssa Sara Longari

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“Dall’idea al progetto: la nascita di Tiresia”

“Un mito è la metafora di un mistero che va oltre la comprensione umana. Si tratta di una storia che ci aiuta a capire, per analogia, alcuni aspetti misteriosi di noi stessi. Secondo questa concezione, un mito non è una falsità, ma un modo di raggiungere una profonda verità”.

(Christopher Vogler)

Gentile lettore/ lettrice,

l’idea di creare questo Blog nasce dalla volontà di tre Psicosessuologhe che alla fine del percorso formativo in Sessuologia clinica hanno deciso di condividere la loro passione per questa disciplina attraverso la divulgazione di tematiche ancora poco dibattute, in quanto ancorate all’ignoranza, a falsi miti, tabù e stereotipi radicati e diffusi nel tessuto socioculturale d’appartenenza.

Lo scopo principale di Tiresia è quello di approfondire argomenti di Psicologia e Sessuologia utilizzando un linguaggio il più possibile semplice in maniera tale da essere comprensibile a chiunque abbia il piacere di leggere queste pagine, trasmettendo una corretta informazione scientifica al fine di contrastare la cattiva informazione e il pregiudizio ed allo stesso tempo sdoganare gli stereotipi psicosessuologici presenti nella nostra cultura, promuovendo e migliorando il rapporto con sé stessi e con gli altri in un’ottica di mutuo rispetto e di accettazione dell’altro come diverso da Sé.

Buona lettura!