Il corpo e l’identità nella Disforia di Genere

la disforia di genere è il termine utilizzato per indicare le persone alle quali identità di genere e sesso biologico non coincidono. La sofferenza dovuta a questa dissonanza spinge molte di queste persone ad intraprendere terapie ormonali e/o chirurgiche per modificare un corpo che non rispecchia la loro identità.

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dal film: The Danish Girl

Come abbiamo già visto nell’articolo sull’identità di genere qui , essa costituisce il modo in cui l’individuo esperisce il “ruolo di genere” , cioè tutto ciò che si fa per esprimere agli altri l’appartenenza ad un sesso o ad un altro. Come sappiamo, il ruolo di genere viene dettato soprattutto dall’ambiente, dagli usi e i costumi di una società. Quando il sesso biologico e l’identità di genere coincidono, si viene definiti “cisgender”. Ma spesso accade che alcune persone non si riconoscano nel proprio sesso biologico, che si sentano intimamente appartenenti al sesso opposto e percepiscano quindi il proprio corpo come “sbagliato”. Queste persone si definiscono “transgender”.

 Il vissuto disforico è caratterizzato dalla discrepanza tra ciò che rappresenta il proprio corpo e ciò che sente la psiche, e questa con gli anni va accentuandosi diventando un vero a proprio disagio. Nonostante le prime classificazioni di questa condizione stabiliscano una distinzione tra transessualismo primario (presente quindi dalla tenerissima infanzia) e secondario (con esordio postpuberale), molte persone dichiarano di aver vissuto questa condizione fin dalla prima infanzia. Nei bambini e nelle bambine i sintomi sono molto evidenti:  è frequente

 l’insistenza di appartenere al genere opposto e una forte preferenza  e predilezione per l’abbigliamento,  i ruoli nei giochi di fantasia,i giocattoli e le attività tipicamente  legati/e al genere opposto. In alcuni casi può esserci una forte avversione per la propria anatomia sessuale, fino al disgusto ed al rifiuto e il forte desiderio di possedere le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del genere a cui si vorrebbe appartenere.

Quando sono presenti anche questi ultimi due sintomi è più probabile che la disforia permanga anche dopo l’adolescenza. Con l’arrivo dell’adolescenza l’illusoria speranza che il corpo si adeguerà a ciò che sente la mente svanisce poiché si sviluppano le caratteristiche sessuali secondarie tipiche dello sviluppo puberale: cresce la barba ai ragazzi, la voce cambia, arriva il menarca alle ragazze, cresce il seno, eccetera.

In passato questa condizione veniva confusa con l’omosessualità, ed ancora tuttoggi vi è molta confusione sul tema, ma come abbiamo spiegato, l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono due cose ben diverse. Così come il transessualismo è distinto dal travestitismo (questo aspetto verrà chiarito in un articolo dedicato): il termine travestito viene riferito soprattutto alle persone di sesso biologico maschile che amano vestirsi da donna nell’ intimità o solo in alcuni momenti (in questi casi le connotazioni cliniche sono altre) , che non sentono la necessità di cambiare sesso e non sono a disagio con il proprio sesso biologico.
Al termine “travestito”, troppo carico di connotazioni negative, si preferisce crossdresser (CD).
Il crossdressing indica tutte quelle situazioni in cui, per ragioni anche molto diverse tra loro, si utilizzano indumenti e atteggiamenti dell’altro sesso. Anche le persone transessuali vivono una fase di travestitismo prima della transizione. Agli occhi degli altri, esse sono travestiti quando il contrasto tra corpo e psiche e’ ancora evidente e gli abiti sono gia’ quelli del sesso d’arrivo, ma in realta’ una persona trans si sente travestita quando è costretta a indossare panni del sesso biologico.
C’è poi chi ha fatto del crossdressing un’arte e un’occasione di spettacolo, sono le drag queen,

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via Pinterest

che sono crossdresser non in quanto vestono abiti femminili, ma perchè rendono spettacolare il contrasto tra un fisico che ha ancora caratteristiche maschili e un costume femminile molto appariscente, l’effetto che ne risulta può essere incredibilmente armonico e piacevole o caricaturale. 

 Il termine Disforia di Genere (DIG)  risale al 1971   (ma i casi di persone transessuali trattati medicalmente sono molto precedenti) per indicare le persone con disagi legati all’identità sessuale, al proprio corpo e quindi al desiderio forte di esprimersi tramite gli attributi del sesso opposto, fino ad intervenire per alterare i genitali, quindi il transessualismo non è sinonimo di disforia, anzi, dopo l’intervento di riattribuzione chirurgica una persona non è più considerabile disforica rispetto al genere poiché non prova più tale disagio. Nonostante ciò, la presenza di questa condizione nel manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali non è accettata dai numerosi movimenti ed associazioni di persone transgender e dai famigliari, poiché appunto non ne riconoscono la condizione psicopatologica.

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Lili Elbe, nata uomo, negli anni ’30 affrontò una pionieristica serie di interventi per cambio di sesso

Ma nel DSM V il termine disturbo è stato sostituito con “Disforia” proprio per sottolineare la prevaricante condizione di disagio e sofferenza che vivono queste persone di avere un corpo che non accettano e soprattutto perchè non vengono riconosciuti dalla società per quello che sentono di essere (i pensieri suicidari sono in percentuale impressionante secondo i dati degli studi su giovani DIG).  Ne consegue che una volta che l’incongruenza è affrontata terapeuticamente e risolta (per mezzo di riassegnazione sessuale chirurgica e terapie ormonali) la diagnosi «decade». La fase diagnostica assume un’importanza cruciale nella valutazione dell’idoneità all’intervento chirurgico della persona all’operazione di riattribuzione chirurgica di sesso (RCS)  e/o al trattamento ormonale, procedimenti irreversibili che vanno ponderati per evitare sofferenze enormi alle persone che vi si sottopongono. Ricordiamo che la normativa che permette il cambio anagrafico di genere solo successivamente all’intervento chirurgico di adeguamento sessuale è la legge n° 164 del 1982 (anche se negli ultimi anni stiamo assistendo a sentenze innovative, che hanno concesso il cambiamento anagrafico di genere anche senza l’intervento chirurgico). L’iter lungo e dispendioso in termini economici ed emotivi segue pressappoco le seguenti tappe: la persona interessata fa richiesta al Tribunale il quale incarica una/o psicologa/o  (consulente tecnico d’ufficio) che a seguito di alcuni incontri e valutazioni diagnostiche, stila una relazione con la conferma della diagnosi di Disforia di Genere secondo linee guida del manuale diagnostico di riferimento. In questa fase, anche se non specificato dalla legge, l’iter di natura psicoterapeutica è fondamentale ed è ritenuto essenziale dalle strutture nazionali che hanno approvato e recepito gli Standard italiani sui percorsi di adeguamento dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere e dalle maggiori organizzazioni internazionali. La terapia di supporto nella transizione incoraggia a prendere decisioni appropriate, integrare i cambiamenti corporei indotti dalla terapia ormonale con la propria identità di genere e affrontare i numerosi problemi sociali che la transizione comporta.

Già con l’inizio delle terapie ormonali vi sono cambiamenti sostanziali ed un miglioramento generale del tono dell’umore delle persone che svolgono per almeno un anno un “real life test”, vale a dire una sperimentazione reale nel genere di elezione, una sorta di banco di prova della vita che si farà dopo l’adeguamento fisico dei caratteri sessuali per capire in che modo manterrà il proprio lavoro, si rapporterà con famigliari e amici dopo l’acquisizione legale della nuova identità, alla fine del quale vi sarà un ulteriore verifica da parte del consulente tecnico di ufficio e l’autorizzazione del Tribunale all’operazione chirurgica di adeguamento. Questo tipo di interventi sono complessi e lunghi, riassumendo consistono in:   mammoplastica additiva (cioè l’introduzione delle  protesi) e di vaginoplastica  (asportazione degli organi genitali originari e ricostruzione di una nuova cavità ricavata tra retto e vescica) per la persona che effettua la transizione da maschio a femmina (MtoF) . Altri interventi consistono nella riduzione del pomo d’adamo, eliminazione della barba (ad esempio con tecnologia laser) e asportazione delle ultime due costole per donare una forma più sinuosa al corpo (questi ultimi interventi sono economicamente a carico della paziente). Per la transizione da donna a uomo (FtoM) l’iter chirurgico è più lungo e complicato e le tecniche sono varie. In una prima fase è necessaria una riduzione del volume mammario a cui si aggiunge l’asportazione chirurgica della ghiandola mammaria e della cute eccedente. A questo segue poi l’Istero–annessectomia (con un unico intervento chirurgico si asportano utero e ovaie) e si conclude con la Falloplastica (costruzione di un organo cilindrico simile al pene che assolve funzioni estetiche, urinarie e sessuali).

Naturalmente tutti questi interventi possono essere eseguiti o meno, a seconda della volontà delle singole persone. Dopo questa fase, il tribunale dispone il cambiamento anagrafico del genere.

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Questi interventi complessi e molto invasivi danno maggiormente l’idea di quanto sia forte la motivazione dei pazienti disforici di riappropriarsi della propria identità anche e soprattutto esteriormente, per questo la chirurgia genitale non può essere considerata un intervento puramente estetico, ma procedure medicalmente necessarie con risultati terapeutici per la salute della persona.

Sottolineiamo che spesso anche il linguaggio è importante e può causare disagio e discriminazione: per la scelta del nome, dell’uso del maschile e del femminile, così come per l’orientamento sessuale, si fa riferimento al genere di elezione ( in sostanza, UN transessuale FtoM che ama una donna è di orientamento eterosessuale).

Ad oggi le associazioni di supporto ed accompagnamento alla transizione sul territorio italiano sono molte e sono impegnate nel creare una rete di sostegno non solo emotiva per le famiglie e le persone che fanno questo percorso, ma anche dal punto di vista pratico per tutto l’iter medico-legale che bisogna seguire in Italia. Tra queste segnaliamo  il S.A.I.F.I.P.. Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica. Ospedale FORLANINI di Roma e Beyond Differences onlus , un’associazione no profit che nasce con l’intento di tutelare i diritti civili delle persone transgender.

Il lavoro più grande però lo fa la società: è lo stigma, l’odio transfobico, lo stereotipo binario che causano le più grandi sofferenze a persone che affrontano la transizione. 

Dott.ssa Sara Longari

Bibliografia: 

Dèttore D., Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. McGraw-Hill, Bologna, 2001.

Dèttore D., Il disturbo dell’identità di genere, Diagnosi , eziologia e trattamento .McGraw-Hill, 2005

Stoller R., Sex and Gender: The transsexual experiment International psycho-analytical library Volume 2 di Sex and Gender,1968

sitografia

http://www.dirittierisposte.it/Schede/Persone/Salute/cambiamento_di_sesso_id1161275_art.aspx

http://www.miofiglioinrosa.com/m-mariotto-un-anno-dopo/

http://27esimaora.corriere.it/articolo/transgender-oltre-il-dolore-di-sentirsi-stranieri-nel-proprio-corpo/?refresh_ce-cp

 

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